Le commissioni della cosiddetta ASN 2016, che selezionano gli studiosi idonei a diventare professori associati e ordinari, hanno reso pubblici su un sito del Ministero dell’università e della ricerca i criteri di valutazione che si propongono di adottare, sviluppando quanto sommariamente definito nel Decreto Ministeriale 7 giugno 2016 n. 120 e altrove.
Fra questi criteri è inclusa la “direzione o partecipazione a comitati editoriali di riviste, collane editoriali, enciclopedie e trattati di riconosciuto prestigio”. Unica fra tutte, la commissione di chirurgia cardio-toraco-vascolare, settore disciplinare delle scienze mediche, specifica quali sono le riviste ammissibili nel seguente modo:
Riviste a carattere nazionale e internazionale, indicizzate e con Impact Factor di almeno 1,1 negli ultimi due anni, escludendo le riviste Open Access [grassetto aggiunto].
Come è ormai da tempo noto a livello internazionale, le riviste ad accesso aperto sono riviste leggibili da tutti senza abbonamento, in modo tale che la conoscenza dei risultati della ricerca sia libera e immediata. Anche in Italia è stato abbondantemente spiegato sia che cos’è l’open access sia che cosa non è l’open access. Esiste perfino una legge – la 112/2013 – che chiede a università ed enti di ricerca di adoperarsi per rendere accessibili gli articoli scritti dai loro ricercatori.
Che rilevanza ha il fatto che una rivista sia accessibile a tutti per la qualità scientifica dei suoi testi? Per non chi appartiene alla setta esoterica dei pitagorici, nessuna. Simmetricamente, – come dimostra il caso Macchiarini – anche la pubblicazione su riviste ad accesso chiuso quali Nature o The Lancet non garantisce di per sé la validità di una ricerca.
Molto probabilmente la commissione, non perfettamente informata sull’accesso aperto, desidera proteggersi dalle cosiddette “riviste predatorie” che pubblicano a pagamento senza compiere nessuna selezione: ma avrebbe potuto farlo senza discriminare immotivatamente uno stile di pubblicazione che salva e può salvare delle vite, valendosi della clausola del “riconosciuto prestigio”. In alcuni casi, la scarsa serietà di certe iniziative è riconoscibile perfino da chi medico non è: come mai la commissione di chirurgia cardio-toraco-vascolare – unica fra tutte – si sente così insicura da dover liquidare come inaffidabili tutte le riviste ad accesso aperto?
La notizia, segnalata da Elena Giglia su OA-Italia, è al momento oggetto di una vivace discussione.
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