In un intervento recente, Björn Brembs si ispira a un’osservazione di Cameron Neylon per descrivere il sistema della scienza attuale come infestato – per sua colpa – da un parassita mortale: la privatizzazione dei suoi archivi a favore di multinazionali editoriali interessate in primo luogo al profitto. Eccone alcuni sintomi:
- il cosiddetto Wikigate: la ben nota multinazionale Elsevier ha offerto ai redattori di Wikipedia 45 accessi gratuiti a suoi contenuti altrimenti a pagamento per permetter loro di citarli nelle voci dell’enciclopedia. Molti sostenitori dell’accesso aperto si sono trovati paradossalmente dalla parte della scienza chiusa, stigmatizzando l’accettazione dell’offerta in quanto regala pubblicità gratuita a un editore che, per tutti gli altri, gratuito non è. Imponendo agli attori e ai sostenitori dell’accesso aperto una scelta tragica, Elsevier vince in ogni caso: gli articoli che gli studiosi le hanno ceduto e rivisto gratis rimangono comunque nelle sue mani, ad accesso chiuso;
- negli ultimi decenni la crescente competizione per pubblicare in poche riviste prestigiose ha molto aumentato la mole di lavoro necessaria per scrivere e pubblicare un articolo, rallentando – esclusivamente a causa di interessi di carriera – il passo della disseminazione della ricerca. Per porvi rimedio, si è suggerito agli scienziati di seguire il modello dei fisici, cioè raddoppiare il proprio lavoro pubblicando uno stesso testo due volte – prima in un archivio aperto per la comunicazione e poi su una qualche rivista inaccessibile per la carriera;
- sempre più spesso gli articoli pubblicati nelle riviste d’eccellenza, dovendo essere sensazionali, si rivelano basati su ricerche i cui risultati sono inaffidabili e non riproducibili. A dispetto del marchio di scientificità che riviste così importanti dovrebbero conferire, altri scienziati devono dedicare forze, tempo e fondi di ricerca per sistemi di controllo della riproducibilità a supplenza del disservizio delle multinazionali dell’editoria scientifica;
- il rimedio dell’accesso aperto, per quanto concerne la via verde, ha bisogno di sostegno legislativo e istituzionale; mentre la via aurea può essere ed è facilmente dirottata dagli editori che spostano l’onere del pagamento dal lettore all’autore, con la prospettiva di mantenere per sé margini di profitto attorno al 40%.
I ricercatori non sono vittime, ma corresponsabili di questa situazione. Eppure chiedono ad altri – legislatori, enti di ricerca, finanziatori – di risolvere ai problemi che essi stessi hanno contribuito a creare, delegando o lasciando delegare il compito della valutazione, che dovrebbe essere intrinseco alla ricerca stessa, a entità commerciali aliene – le quali, in un’epoca in cui la rivoluzione digitale ha reso i costi di pubblicazione bassissimi, non sono soltanto inutili: sono, anche economicamente, dannose.
In questa prospettiva, Brembs propone una soluzione radicale, che consiste in due passi:
- tagliare gli abbonamenti alle riviste proprietarie e usare i fondi risparmiati per costruire una infrastruttura di ricerca moderna, in grado di aiutare lettori, autori e revisori a ritrovare, selezionare e catalogare testi e dati;
- usare ciò che già esiste – per esempio LOCKSS – per conservare indefinitamente testi e dati del passato.
In questo modo, non solo si risparmierebbe molto denaro, ma, soprattutto, si riporterebbe un pubblico bene nelle mani della comunità scientifica e dell’umanità in generale. La sola difficoltà – che Brembs dice di non saper risolvere – è un problema di azione collettiva: chi ha il coraggio di cominciare?
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