Open access nel programma di “Liberi e uguali”: alcune osservazioni

L’approfondimento del programma di Liberi e uguali” dedica una riga all’accesso aperto, questa:

implementare l’Open Access, vale a dire l’accesso gratuito online a tutti i risultati della ricerca finanziata con fondi pubblici.

Il testo è quanto è stato recepito di un documento più lungo, scritto dal comitato di Bergamo di “Possibile”,  che può essere letto qui.

Aisa, avendo proposto una modifica della legge sul diritto d’autore in favore dell’accesso aperto alla letteratura scientifica, e apprezzando che il tema sia entrato nel programma di almeno un partito in lizza alle elezioni del 4 marzo 2018, rende pubblico il suo commento, mettendolo a disposizione di chi voglia approfittarne.

1. Le parole sono importanti: accesso “gratuito” o accesso “libero”?

La mozione Civati citata nel documento di “Possibile” (p.1)  definisce l’open access come non come accesso libero, bensì  come “accesso gratuito online a tutti i risultati della ricerca finanziata con fondi pubblici”. Il documento, tuttavia, prosegue aggiungendo che la conoscenza è da trattarsi come un “bene comune”.

“Libero” e “gratuito” non sono sinonimi: per il vigente regime di copyright  un’opera dell’ingegno, anche qualora sia resa accessibile senza far pagare un prezzo al lettore, rimane sotto diritto d’autore pieno a meno che non sia diversamente specificato.

Se l’accesso è solo “gratuito” tutti i diritti sui testi rimangono all’autore, o, più tipicamente, all’editore al quale sono stati ceduti. Il pubblico può accedere al testi senza pagare, ma per ogni altra operazione – ripubblicazione, traduzione, text and data mining – occorre chiedere il permesso ai detentori dei diritti. Non a caso l’accesso gratuito è la strada preferita dalle multinazionali dell’editoria, perché permette loro di tener sotto controllo i dati dei lettori, costruendovi metriche da vendere a caro prezzo a università e valutatori della ricerca, e di farsi pagare per ogni altro uso.

Se invece l’accesso è libero,  il testo è soggetto a licenze aperte che permettono, per esempio, di riprodurlo e distribuirlo, o di trarne opere derivate quali le traduzioni. Per chi fa qualcosa di più che leggere i testi, la differenza fra libero e gratuito è sostanziale: per esempio gli scandali che, nel secolo scorso, furono legati alla  limitazione della libertà di tradurre opere significative per il dibattito politico e culturale  non sarebbero avvenuti se l’accesso ai testi fosse stato libero; se, tuttavia, i testi, invece di essere a pagamento,  fossero stati soltanto gratuiti, la libertà di tradurli sarebbe rimasta ugualmente ristretta.

2. Open access: perché?

L’accesso aperto è un interesse dei molti e non dei pochi perché:

3. Open access: come?

L’articolo 4 della legge 112/2013 (comma 2,3,4)  è molto meno di un primo passo. Obbliga, infatti, università ed enti di ricerca, senza prevedere né sanzioni né finanziamenti aggiuntivi, a mettere ad accesso aperto i testi dei loro ricercatori, con tempi di attesa molto più lunghi di quelli suggeriti dalla Raccomandazione europea 2011/417 (18/24 mesi invece di 6/12) , non dà  nessuna indicazione sugli eventuali conflitti con gli editori per il copyright e, soprattutto, tratta i nostri testi come prodotti da esporre in una teca invece che parte di un processo che richiede la discussione pubblica.

In queste condizioni, ridurre i tempi di attesa per la ripubblicazione in Open Access dei testi finanziati dal pubblico almeno per il 50% ai 6/12 mesi della Raccomandazione europea e ridiscutere il nostro sistema di valutazione della ricerca, liberandolo dalla dipendenza (nella pubblicazione e nei dati citazionali) da multinazionali i cui scopi sono commerciali e non scientifici sarebbe il minimo indispensabile. Il valore di un testo scientifico si costruisce nella discussione pubblica e non nella marchiatura privata!

4. Sarebbe possibile fare di più?

Nonostante il suo atteggiamento su copyright e brevetti, la Commissione europea sta meditando di ricorrere a una piattaforma istituzionale per la pubblicazione, su base volontaria, dei testi esito delle ricerche finanziate dall’UE, facendo a meno degli editori commerciali; e c’è chi pensa che una soluzione simile dovrebbe essere applicata alla letteratura scientifica in generale. Peraltro, fuori d’Italia, università ed enti di ricerca stanno cominciando a negoziare con maggior fermezza anche con i più potenti oligopoli editoriali.

Rispetto all’onerosa e poco efficace soluzione italiana, Paesi Bassi, Germania e Francia  hanno scelto di emancipare l’uso pubblico dei testi scientifici dal monopolio editoriale con la più semplice strategia di prendere sul serio il diritto dell’autore.  In questo senso si orienta anche la proposta dell’AISA: basterebbe, infatti,  aggiungere un articolo alla legge sul diritto d’autore per assicurare a chi fa ricerca con un prevalente finanziamento pubblico il diritto di ripubblicare gratuitamente i suoi testi, immediatamente se il suo editore è ad accesso aperto o dopo un periodo di tempo non superiore a un anno se è ad accesso chiuso. In questo modo, se lo desiderano, i ricercatori potrebbero mettere a disposizione di tutti, tramite la rete degli archivi aperti istituzionali e disciplinari, le opere che il contribuente ha già pagato, avendole finanziate con le proprie imposte – senza gravare le istituzioni degli oneri puramente nominali della legge 2013.

Anche la scienza, sia pure in un senso non immediatamente politico, vive solo se è per i molti. Se è per i pochi non si chiama più scienza: si chiama alchimia.

 

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