Come documentato da “Roars”, l’ANVUR ha escluso Open Research Europe (ORE) sia dalla lista delle cosiddette riviste di classe A, sia da quella delle riviste scientifiche per l’area della sociologia generale.
Open Research Europe è un’infrastruttura offerta dalla Commissione dell’Unione Europea all’élite di autori i cui lavori di ricerca sono esito di finanziamenti europei. Priva dei vincoli tecnologici della stampa, per i quali la pubblicazione di testi
selezionati ex ante ne segnalava anche il valore, ORE è a un tempo un archivio, un forum pubblico di discussione e un complesso di riviste di diverse discipline.
Gli autori possono usare ORE per autoarchiviare e rendere pubblici i propri testi, codici e dati perché siano rivisti in una discussione a sua volta pubblica, a cui partecipano, oltre a loro stessi, sia esperti invitati ad hoc, sia utenti registrati al sito. Se i revisori, dopo eventuali modifiche, marcano gli articoli come accettati, essi verranno indicizzati da vari servizi anche proprietari, come Scopus di Elsevier. I testi compaiono inoltre in Google Scholar.
Fra le molte forme di revisione paritaria aperta, ORE ha adottato quella che consiste nel render pubblica l’intera discussione pur continuando a far uso di esperti appositamente selezionati, così da riconoscerne le responsabilità e i meriti, da palesarne eventuali conflitti di interessi e da trasformare una procedura opaca, gerarchica ed esposta a fallimenti talvolta catastrofici in un dibattito scientifico franco. Come scriveva Giorgio Israel,
L’anonimità dell’esaminatore è invece un’idea sciocca e scandalosa. Chi deve firmare un giudizio e quindi mettere in gioco la propria rispettabilità sta bene attento a quel che scrive, mentre – e si potrebbe produrre un gran numero di esempi al riguardo – un recensore anonimo può permettersi il lusso di emettere giudizi affrettati, superficiali o anche di fare affermazioni palesemente sbagliate, con gli intenti più disparati, senza dover pagare alcun prezzo per questo. Il diffondersi delle procedure di selezione mediante il ricorso a valutatori anonimi, lungi dal garantire la serietà e l’obbiettività del giudizio – si sostiene che il valutatore anonimo sarebbe libero di esprimersi senza le reticenze dettate dai suoi eventuali rapporti di conoscenza o amicizia con il valutato o dal timore di rappresaglie – induce comportamenti poco etici se non addirittura scorretti. Che bisogno c’è dell’anonimato? Una persona che appartiene al mondo della ricerca e dell’università dovrebbe essere capace di conformarsi a criteri di “scienza e coscienza” e non avere il timore di difendere le scelte compiute su tali basi. L’anonimato rischia invece di offrire coperture a comportamenti intellettualmente superficiali o eticamente scorretti.
ORE è criticabile perché la sua gestione è stata affidata, invece che ad archivi o biblioteche, a F1000 Research, di proprietà di un oligopolista commerciale privato partecipe della cosiddetta editoria di sorveglianza, il quale ha ben poco a che vedere con la tutela della conoscenza indipendente e pubblica. Ma non di questo si preoccupa l’ANVUR: per chi volesse far uso degli articoli che vi ha depositato ai fini della propria carriera accademica in area sociologica, ORE, secondo l’agenzia, non è né scientifica né eccellente perché non pubblica in fascicoli “distinti, in sé conclusi e non aperti ad ulteriori aggiornamenti” e perché non pratica la revisione anonima.
Conviene resistere alla tentazione di sorridere di chi, a più di trent’anni dall’invenzione del World Wide Web, pretende che la pubblicazione on line non renda disponibili i testi appena sono pronti ma si sforzi di riprodurre i limiti tecnici ed economici della stampa uscendo in “fascicoli”, e imbriglia la discussione scientifica in procedure ispirate a idee non solo “sciocche e scandalose”, ma più recenti e discutibili di quanto molti immaginino, mentre altrove ci si va chiedendo se le riviste cosiddette scientifiche non meritino di essere superate.1 Qui che cosa si decide è secondario rispetto alla questione di chi decide e in virtù di quale legittimazione.
Il sistema di valutazione della ricerca italiano vigente, amministrativo e centralizzato, è dominato da un’Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca il cui consiglio direttivo è nominato dal governo. Fra i suoi numerosissimi compiti c’è quello di stabilire quali riviste, nelle aree delle scienze umane e sociali, sono scientifiche e quali no, e quali, fra queste ultime, sono eccellenti (di classe A) e quali no. A dispetto dell’articolo 33 della costituzione, Caesar est supra grammaticos: a decidere che cosa è scientifico e che cosa no non sono i ricercatori, bensì un’autorità nominata dal governo. Il medesimo principio burocratico e gerarchico opera nel regolamento per la classificazione delle riviste nelle cosiddette aree non bibliometriche stilato dal consiglio direttivo dell’ANVUR: il consiglio, oltre ad avere l’ultima parola, controlla la procedura fin dal suo inizio, nominando gli studiosi-funzionari del gruppo di lavoro che si occupa dell’istruttoria sulle riviste.
La valutazione di stato della ricerca, amministrativa e centralizzata invece che scientifica e distribuita, è strutturalmente dispotica e retrograda. Perfino se il direttivo dell’ANVUR e gli studiosi-funzionari degli organi che ne sono emanazione fossero illuminati e in perfetta armonia con le comunità dei ricercatori italiani, le loro liste, fissate da norme di diritto amministrativo in grado di mutare solo tramite ulteriori atti di autorità, ingesserebbero la discussione e la comunicazione della scienza.
La negazione della scientificità di ORE per la sociologia generale viola gli impegni che l’ANVUR ha formalmente sottoscritto aderendo alla coalizione europea per la riforma della valutazione della ricerca (COARA), del cui steering board fa parte un membro del suo consiglio direttivo. In particolare, la redazione di “Roars” ha osservato che prescrivere una revisione paritaria chiusa, la quale, essendo privata, non consente di riconoscere il contributo scientifico dei revisori, è incompatibile con il secondo impegno dell’accordo europeo.
In generale COARA include fra i suoi principi complessivi la salvaguardia della libertà della ricerca, che l’agenzia lede indipendentemente dalla sua decisione su ORE. Stabilire che cosa è scientifico e che cosa no tramite liste determinate amministrativamente confina infatti la libertà dei ricercatori di scegliere temi, metodi, teorie e applicazioni delle loro indagini entro le agende e le politiche editoriali delle riviste approvate dall’ANVUR.
Safeguard freedom of scientific research. By putting in place assessment frameworks that do not limit researchers in the questions they ask, in their research implementation, methods or theories. By limiting the assessment frameworks to only those necessary, as assessment must be useful for researchers, institutions and funders.2
Inoltre, quando COARA prescrive che i criteri e i processi di valutazione non siano incentrati bibliometricamente, sulla quantità, bensì sulla qualità, la definisce connettendola all’apertura: “openness corresponds to early knowledge and data sharing, as well as open collaboration including societal engagement where appropriate”.3 Di nuovo: come si può parlare di collaborazione aperta quando che cosa è scientifico e che cosa no è deliberato da un’autorità nominata dal governo in un gioco a somma zero volto a mettere ricercatori e istituzioni gli uni contro gli altri?
Per rendersi conto che il sistema delle liste di riviste è in contrasto con gli impegni europei sottoscritti dall’ANVUR non era indispensabile il casus belli di ORE. In tempi non sospetti si era già notato che la normativa nazionale sulla valutazione della ricerca era in conflitto con i principi di COARA e si era osservato che, coerentemente, l’ANVUR non avrebbe dovuto soltanto aggiornare le sue liste e il relativo regolamento, bensì abolirle in quanto espressione autoritaria di una valutazione di stato strutturalmente dispotica, retrograda e incompatibile con la scienza aperta. L’agenzia, nel frattempo, non ha fatto né l’una né l’altra cosa – come se non avesse chiaro il senso di ciò che ha firmato, o, avendolo invece chiarissimo, intendesse partecipare alla riforma europea con una pesante, gattopardesca reservatio mentalis.
- In questo spirito, il primo impegno dell’accordo europeo (p. 5) chiede di riconoscere tutte i “valuable contributions that researchers make to science and for the benefit of society, including diverse outputs beyond journal publications and irrespective of the language in which they are communicated”, e il terzo (p. 6) di abbandonare gli “usi inappropriati di metriche basate su riviste e pubblicazioni nella valutazione della ricerca”.
- Agreement on Reforming Research Assessment, I , p. 3.
- Agreement on Reforming Research Assessment, I , p. 3.
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