Anche la Slovenia riconosce il diritto di ripubblicazione

Nella sessione del 23 maggio 2025 l’assemblea nazionale della repubblica slovena ha approvato una norma sul diritto di ripubblicazione allo scopo di garantire l’accesso e l’uso aperto di testi e dati della ricerca finanziata dal pubblico.

Anche la norma slovena prevede la nullità degli accordi contrattuali contrari.

La camera slovena ha deliberato di allineare il paese a un gruppo sempre più ampio di paesi europei in modo unanime, con un solo astenuto. Invece, nella scorsa legislatura, il parlamento italiano, dopo che la camera dei deputati aveva approvato una analoga riforma del diritto d’autore, l’ha fatta arenare al senato, in seguito a un cambio di maggioranza.

Software libero a scuola e all’università: lettera aperta di Angelo Raffaele Meo

AISA aderisce alla lettera aperta del professor Angelo Raffaele Meo, la quale non invita a produrre ulteriori atti normativi, ma semplicemente a far applicare quelli già esistenti. Sarebbe dunque sufficiente che i ministri competenti inviassero a rettori e dirigenti scolastici un’illustrazione “degli articoli 68 e 69 del ‘Codice dell’Amministrazione Digitale’ e delle ‘Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni’ adottate da AgID con Determinazione n. 115 del 9 maggio 2019, eventualmente ricordando la possibilità di intervento della Corte dei Conti per danno erariale”.

Decreto legge “sicurezza” (ex ddl “sicurezza”): la norma scomparsa

Il ddl “sicurezza” oggetto del nostro comunicato del dicembre 2024 è stato trasformato, come se si trattasse di questioni di necessità e urgenza, in un decreto legge “sicurezza”, il cui testo è visibile qui.

Come riporta dettagliatamente Roberto Caso, l’articolo 31, che avrebbe obbligato sia le pubbliche amministrazioni in generale, sia le università in particolare a collaborare con i servizi segreti, sembra scomparso dal decreto in vigore. A prescindere dalle altre forme di erosione di diritti fondamentali rimaste nel testo, che hanno suscitato allarme anche fra gli esperti dell’ONU, e delle lesioni che l’articolo 31 avrebbe inflitto anche fuori dall’accademia, questa cancellazione evita, per il momento, un’ulteriore compressione di una libertà costituzionale, quella della didattica e della ricerca, già deteriorata dalla sua sistematica sottomissione a poteri di sorveglianza statali e no.

Ciò non esclude che, in un clima di crescente militarizzazione, il contenuto della norma non possa esser ripresentato in forma meno visibile altrove, così da render sempre più difficile a studenti e studiosi discutere liberamente, come chiedeva Immanuel Kant, delle condizioni della pubblica pace nella nebbia di una privata guerra.

Ricerca pubblica, servizi segreti: il ddl sicurezza e l’università

Gli studiosi italiani che lavorano all’università e negli enti di ricerca pubblici sono già assuefatti alla sorveglianza. L’Anvur, agenzia nominata dal governo per la valutazione della ricerca, investita del potere di stabilire quali riviste sono scientifiche e quali no, si prende la libertà di rovistare amministrativamente nei cassetti delle redazioni per controllare referaggi di cui altrimenti esalta oltremodo la confidenzialità. E anche i privati che traggono profitto dal controllo governativo sulla ricerca – oligopolisti dell’editoria scientifica commerciale come Elsevier e Springer-Nature – li hanno abituati a leggere riviste che li leggono e a riacquistare i dati che hanno regalato loro riconfezionati sotto forma di servizi amministrativi e sedicenti predittivi.
Con il ddl sicurezza S.1236, però, la sorveglianza diventa più attiva ed eccitante: il primo comma dell’articolo 31 obbliga chi lavora nelle università e negli enti di ricerca a collaborare con i servizi segreti. Per esempio chi insegna potrebbe così emozionarsi a rivelare ad agenti diversi da quelli dell’ANVUR le preferenze politiche degli studenti con cui discute ai ricevimenti e a lezione, e sentirsi anche lui un po’ eroe – ancorché coatto – della sicurezza nazionale.
Chi invece pensa che l’unico servizio della scienza sia quello dell’uso pubblico della ragione, e non trova particolarmente emozionante soffocare la libertà della discussione scientifica e didattica violando svariati articoli della costituzione italiana, può leggere e far leggere il nostro comunicato che, forte dell’analisi in punto di diritto di Roberto Caso, cofondatore ed ex presidente dell’AISA, invita il parlamento a rigettare un così avventuroso disegno.

Il disegno di legge (ddl) sicurezza S.1236 “disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” presentato dal Governo il 22 gennaio 2024, approvato dalla Camera dei deputati il 18 settembre 2024 e ora in discussione al Senato è al centro di un acceso dibattito politico dentro e fuori del Parlamento.
Il ddl interviene con finalità repressive e securitarie sul diritto e sulla procedura penale. Molte critiche sono state mosse contro l’impostazione di fondo e gli strumenti normativi utilizzati. Secondo i critici, la proliferazione dei reati, l’inasprimento delle pene, attuata mediante l’affastellamento di disposizioni legislative di difficile coordinamento, interpretazione e applicazione, colpisce i più deboli e contrasta il dissenso politico, determinando un’illegittima compressione dei principi e delle norme costituzionali che tutelano diritti e libertà fondamentali. In particolare, a essere a rischio sono la libertà di riunione, informazione e di manifestazione del pensiero. Dei molteplici argomenti mobilitati contro il ddl vi è traccia nei documenti acquisiti in Parlamento durante le audizioni: si vedano, a titolo di esempio, le memorie presentate al Senato dal prof. Massimo Luciani, dal prof. Enrico Grosso, dall’Unione delle Camere Penali.

Tra le tante disposizioni normative oggetto di critica ve ne è una che ha ricevuto meno attenzione. Essa riguarda l’estensione del potere dei servizi di informazione in riferimento alle università e agli enti pubblici di ricerca. Si tratta dell’art. 31, comma 1, del ddl rubricato “Disposizioni per il potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza” che mira a modificare il comma 1 dell’articolo 13 dell’ultima legge di riforma dei servizi di informazione, l. 3 agosto 2007, n. 124, sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto.

L’attuale art. 13, c.1, della legge 2007/124 così recita:

“1. Il DIS, l’AISE e l’AISI possono corrispondere con tutte le pubbliche amministrazioni e con i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità e chiedere ad essi la collaborazione, anche di ordine logistico, necessaria per l’adempimento delle loro funzioni istituzionali; a tale fine possono in particolare stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca”.

Se il ddl sicurezza fosse approvato il testo del comma 1 dell’art. 13 della l. 2007/124 diventerebbe il seguente:

“1. Le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al DIS, all’AISE e all’AISI la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale. Il DIS, l’AISE e l’AISI possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza”.

La scheda di lettura che accompagna il ddl rileva quanto segue:

“Il comma 1, lett. a), n. 1, modifica l’articolo 13, comma 1, della legge 124/2007 (la legge reca la nuova disciplina dei servizi di informazione), prevedendo che le pubbliche amministrazioni e alcuni soggetti ad esse equiparati siano tenuti a prestare al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) e alle agenzie del sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica – ossia l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e l’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI) – la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale.

Attualmente, la disposizione vigente prevede che DIS e agenzie possono corrispondere con le pubbliche amministrazioni e con i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità e chiedere ad essi la collaborazione, anche di ordine logistico, necessaria per l’adempimento delle loro funzioni istituzionali.

La norma in esame, da un lato, rende cogente la collaborazione – ed anche l’assistenza, non prevista dalla norma vigente – che gli organismi di sicurezza eventualmente richiedono alle pubbliche amministrazioni. Dall’altro, specifica che la collaborazione e assistenza debbano essere motivate dalla necessità della tutela della sicurezza nazionale, mentre la disposizione vigente fa riferimento alla necessità di adempiere alle funzioni istituzionali di detti organismi.

Inoltre, viene ampliato il novero dei soggetti tenuti a prestare la collaborazione, estendendo tale obbligo alle società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico.

Come nella formulazione vigente, è previsto che le modalità di tale collaborazione siano definite con convenzioni tra i soggetti tenuti a prestarla e gli organismi di informazione per la sicurezza. A differenza della disposizione in vigore, viene specificato che le convenzioni possano prevedere anche la comunicazione di informazione agli organismi in deroga ai vincoli di riservatezza previsti dalla normativa di settore.

Il comma 1, lett. a), n. 2, modifica la rubrica dell’articolo 13 della legge 124/2007 per adattarla alle modifiche di cui sopra [grassetti originali]”.

Com’è stato notato dal Dott. Armando Spataro in sede di audizione, tale nuovo intervento normativo risponde all’”orientamento politico finalizzato ad estendere il ruolo delle Agenzie di Informazione nella direzione di attività che non competono loro, come – in particolare – quelle di indagine giudiziaria”.

Due aspetti della proposta di modifica saltano agli occhi:

  1. il potere dei servizi di informazione di corrispondere con gli altri soggetti facenti capo allo stato e chiedere la collaborazione si trasforma in obbligo dei questi ultimi di prestare collaborazione e assistenza;
  2. le convenzioni disciplinate dalla disposizione legislativa possono prevedere la comunicazione di informazioni in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza.

L’imposizione, nell’ambito universitario e della ricerca pubblica, dell’obbligo di collaborare in connessione alla comunicazione di informazioni in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza suscita preoccupazione.

Il Presidente dell’autorità garante per la protezione dei dati personali si è espresso a margine del testo discusso alla Camera, sostenendo che l’uso della categoria “riservatezza” non include la protezione dei dati personali:

“il riferimento alla riservatezza va inteso – collocando la norma all’interno del contesto giuridico in cui si inscrive e ai parametri della legge 124 – con riguardo a profili diversi dalla disciplina di protezione dati personali. E questo, non tanto e non solo per ragioni nominalistiche, quanto perché l’articolo 58 del Codice in materia di protezione dei dati personali già introduce una disciplina derogatoria, con valenza generale, del trattamento di dati personali da parte degli Organismi, per fini di sicurezza nazionale. A tale cornice generale dovrà, pertanto, ricondursi il trattamento di dati personali funzionale (o connesso) a tali comunicazioni, anche considerando che la deroga introdotta si riferisce a normative “di settore in materia di riservatezza” e non, invece, a una di taglio generale quale, appunto, quella di cui all’art. 58 del Codice”.

Se quanto rilevato dal Garante della Privacy è corretto, a quale riservatezza intende riferirsi la norma?

La disposizione legislativa, anche per la sua ambiguità, si presta a essere interpretata come fonte di un anomalo potere investigativo in capo ai servizi di informazione da utilizzare nei confronti di università ed enti pubblici di ricerca. Tale potere si pone in frontale contrasto con la tutela costituzionale della riservatezza personale, delle libertà di informazione e manifestazione del pensiero nonché della libertà e autonomia accademiche, violando gli art. 2, 15, 21 e 33 della Costituzione.

Nell’attesa che gli organi di rappresentanza dell’università italiana e degli enti pubblici di ricerca facciano sentire la propria voce, l’AISA chiede al Parlamento di non approvare il ddl S.1236 “disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” e, in ogni caso, di cancellare la proposta di modifica dell’art. 13 della l. l. 2007/124 contenuta nell’art. 31 del disegno di legge.

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L’ANVUR e Open Research Europe

Negli elenchi aggiornati delle riviste dichiarate scientifiche dall’ANVUR continua a mancare Open Research Europe (ORE), infrastruttura di revisione paritaria aperta offerta dalla Commissione dell’Unione Europea agli autori i cui lavori di ricerca sono esito di finanziamenti europei. Visti i precedenti, questa assenza non sorprende. Ed era anche già chiaro che la recente “Disposizione transitoria per la Open Peer Review” del regolamento aggiornato per la classificazione delle riviste non avrebbe cambiato il verdetto perché ORE ha il difetto di non uscire in fascicoli.

Non occorrerebbe aver aderito a COARA, come ha fatto formalmente l’ANVUR, per rendersi conto che l’organizzazione in fascicoli del contenitore non ha a che vedere con l’eventuale scientificità del suo contenuto. All’agenzia, però, non interessa la scienza, bensì la sua contenzione in gabbie editoriali sulle quali sia possibile applicare la bibliometria come arma di valutazione di massa. Non si tratta, del resto, di valutazione scientifica, bensì di valutazione di stato.

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Premio per tesi sulla scienza aperta (bando 2024): i vincitori

La commissione giudicatrice ha concluso la valutazione delle tesi concorrenti al bando di quest’anno e ha proclamato vincitori, per la tesi di laurea magistrale, la dottoressa Alice Catalano e il dottor Emanuele Cavalleri; per le tesi di dottorato, la dottoressa Valentina Gamboni.

Il verbale dei lavori della commissione, composta da Rossana Ducato (presidente), Davide Borrelli, Luca De Santis, Giulia Priora, è visibile qui.

Di statistica e virtù: i criteri della VQR 2020-2024 e la riforma europea della valutazione della ricerca

L’Unione Europea, resasi conto che le valutazioni quantitative della ricerca producono solo quantità, ha sollecitato valutatori, università, enti di ricerca e società scientifiche a unirsi in una coalizione per la riforma della valutazione stessa (COARA) a cui ha aderito anche l’ANVUR. Entrando in COARA, l’ANVUR si è impegnata a trattare la bibliometria come complementare rispetto a forme di valutazione qualitativa che richiedono di leggere i testi. Ma le sue azioni e i suoi piani d’azione vanno in tutt’altra direzione: nei settori delle scienze umane e sociali ha conservato le liste di riviste di produzione amministrativa e in quelle delle scienze matematiche, mediche, fisiche e naturali continua ad accettare criteri bibliometrici calcolati su banche dati proprietarie. Questi criteri sono imposti perentoriamente per selezionare gli aspiranti candidati e commissari all’Abilitazione Scientifica Nazionale, e gli esperti valutatori nell’esercizio quinquennale della valutazione della ricerca detto VQR; e la prescrizione di impiegarli in modo formalmente complementare nel giudizio sulle opere esposte alla VQR è, nel segreto della revisione anonima, facilmente aggirabile.

Perché l’ANVUR non onora la sua firma? Forse perché non è un’autorità indipendente e COARA ha semplicemente sbagliato ad accoglierla in luogo del Ministero dell’Università e della ricerca? La letteratura prodotta da studiosi praticamente e teoreticamente vicini alla valutazione di stato suggerisce però almeno un’altra ipotesi: una valutazione basata sul primato della revisione paritaria, richiedendo di leggere i testi, non può essere di massa e, secondo qualcuno, è influenzabile da idiosincrasie personali sia nella scelta dei valutatori, sia nelle loro valutazioni. Per questo un’agenzia di valutazione di stato e di massa come quella italiana non può evitare di abbarbicarsi alla bibliometria, sia perché ha bisogno di armi di valutazione di massa per conservare il proprio pervasivo potere, sia perché, dietro un velo di statistiche, automatiche e no, è più facile nasconderne la natura autoritaria.

1. La bibliometria nella VQR 2020-2024

Soprattutto quando è gerarchica e pervasiva come quella italiana, la valutazione di stato della ricerca è un atto di sfiducia nella libertà dell’uso pubblico della ragione, il quale delegittima sia le università e gli enti di ricerca statali – rappresentati come così scadenti da aver bisogno di una valutazione esterna alla discussione scientifica – sia il governo che la impone per via non scientifica bensì amministrativa.

Molte valutazioni di stato, avendo forza ma non scienza, usano criteri bibliometrici, senza considerare ciò che gli studiosi scrivono, incomprensibile alle amministrazioni, bensì la quantità di pubblicazioni, le loro sedi e il numero delle loro citazioni. Perfino l’Unione Europea si è ora resa conto che le valutazioni quantitative ottengono esattamente ciò di cui impongono la misura, vale a dire non qualità ma quantità, e patrocina una coalizione, COARA, allo scopo di riformarle. Gli impegni principali di chi vi aderisce sono:

  1. riconoscere la varietà dei contributi e delle carriere dei ricercatori
  2. fondare la valutazione della ricerca in primo luogo su valutazioni qualitative incentrate sulla revisione fra pari, sostenute da un uso responsabile di indicatori quantitativi
  3. abbandonare l’uso inappropriato, nella valutazione della ricerca, di metriche basate su riviste e pubblicazioni, quali il JIF e l’ H-index
  4. evitare l’uso delle classifiche (ranking) delle organizzazioni di ricerca nella valutazione della ricerca

La riforma europea riguarda il modo in cui si valuta, come se fosse solo un problema tecnico, senza affrontare esplicitamente la questione di chi, per quale scopo e con quale legittimazione valuta. Così hanno aderito a COARA anche agenzie di stato quali l’ANVUR, che hanno imposto e usato forme di valutazione prevalentemente bibliometriche.

Avevamo già notato che ANVUR è riuscita a disattendere i pur lati impegni 2 e 3, imponendo requisiti bibliometrici perentori e non complementari sia a commissari e concorrenti nell’Abilitazione Scientifica Nazionale, sia agli esperti valutatori nominabili o sorteggiabili nell’esercizio quinquennale di valutazione di università ed enti di ricerca burocraticamente noto come VQR 2020-2024.

I criteri successivamente annunciati dai singoli gruppi di esperti valutatori per la VQR 2020-2024 rispettano formalmente gli impegni di COARA. Infatti:

nell’esercizio di Valutazione della Qualità della Ricerca VQR 2020-2024 il GEV valuta la qualità di ciascun prodotto con la metodologia della peer review, o revisione tra pari […]. Tale approccio tiene anche conto di quanto previsto dalla seconda raccomandazione della Coalition for Advancing Research Assessment, secondo la quale la valutazione deve essere principalmente basata su aspetti qualitativi, per i quali è centrale il ruolo della revisione tra pari supportata da un uso responsabile degli indicatori di tipo quantitativo.1

Bisogna però chiedersi se nei cosiddetti settori bibliometrici questo rispetto non sia esposto al rischio di essere solo pro forma. Gli indicatori citazionali, calcolati su costose banche dati proprietarie in mano a oligopolisti commerciali quali Elsevier (Scopus) e Clarivate Analytics (WoS) 2 “informano” la revisione fra pari: possono, cioè, essere usati a suo sostegno pur senza determinarla automaticamente.3 Nulla, però, impedisce che, nel segreto dell’anonimato, l’informazione bibliometrica possa rimanere determinante, senza che occorra affannarsi a leggere gli articoli con attenzione e motivare i propri giudizi, essendo ormai diffusa l’abitudine a ricorrere a sistemi di generazione di testi statisticamente probabili ma privi di qualsiasi senso comunicativo venduti col nome di “intelligenza artificiale”. Anche i commissari ASN sono affetti da un carico di lavoro tale da esporli alla tentazione di ricorrere a simili strumenti: ma, essendo il loro nome noto, devono anche assumersene pubblicamente la responsabilità. Perché, invece, ai valutatori della VQR si riconosce il privilegio di sottrarsene?

2. Un compromesso fragile

Gli impegni 2 e 3 di COARA insistono sul primato, nella valutazione della ricerca, della revisione fra pari, che richiede di leggere i testi, senza però escludere il sostegno di criteri “quantitativi” e basati su riviste e pubblicazioni, purché usati responsabilmente e appropriatamente. Ma se si è riconosciuto che per valutare i ricercatori occorre leggere e capire i testi, come è possibile usare “responsabilmente” – non è chiaro verso chi – e “appropriatamente” indicatori che non richiedono né lettura né comprensione? In che modo e in che grado la popolarità entro un recinto di costose riviste in mano agli oligopolisti dell’editoria commerciale può essere trattata come complementare? O, ancora più radicalmente: lo scopo di perseguire la qualità della ricerca può essere davvero complementare a quello di farsi pubblicare e citare dalle riviste di questo recinto, a dispetto della generale inaffidabilità delle letteratura prodotta sotto la pressione del publish or perish e della bibliometria e in condizioni tali che la ricerca “is not about curiosity anymore, it’s just a career”?

Un articolo recente,4 The forced battle between peer-review and scientometric research assessment: Why the CoARA initiative is unsound, aiuta ad affrontare questi dubbi: la bibliometria non valuta la qualità della ricerca, bensì il suo impatto. “Like any goods producer, more is needed for a researcher than merely producing high-quality research products; instead, they must be disseminated effectively, akin to the necessity for selling goods”: il buon ricercatore, come chiunque produca merci, deve saper vendere i suoi prodotti, e la bibliometria misura questa sua capacità. Appunto, “it is not about curiosity anymore, it’s just a career.” “Would a company” – ci si chiede retoricamente – “ever evaluate the success of a product already launched in the market by convening expert panels instead of relying on quantitative sales analysis?” Capita, in commercio, che prodotti mediocri, efficacemente promossi, abbiano tuttavia un grande successo. Ma, se si ordina che il ricercatore debba vendersi – o meglio regalarsi – in uno pseudomercato oligopolistico perché amministrativamente imposto e circoscritto, dobbiamo trattare gli esiti letterari della ricerca come output di sistemi di produzione di massa e non come pezzi unici. E quando si tratta di fare valutazioni di massa di produzioni di massa, dobbiamo riconoscere – sostiene l’articolo – che una valutazione qualitativa, in queste condizioni di sovraccarico, diventa inaffidabile se non impossibile.

L’uso della bibliometria, come arma di valutazione di massa, è dunque inevitabile? Sì, ma solo se si pretende di continuare a fare valutazioni di massa.

3. Una questione politica

Il primato della revisione fra pari che è fra gli impegni di COARA può essere applicato sistematicamente solo a una condizione: che la valutazione di massa sia ridotta al minimo se non eliminata. E qui l’interesse dell’ANVUR, la cui ragion d’essere e il cui straordinario potere dipendono in gran parte dalla valutazione di massa, non coincide necessariamente con quello della scienza.

Non sorprendentemente, molti atti5 dell’agenzia hanno violato gli impegni che aveva sottoscritto. E anche il suo recentissimo piano d’azione per l’attuazione di COARA persevera in forme di valutazione di massa bibliometriche, basate sul contenitore (journal-based) anziché sul contenuto: il mantenimento di un sistema di liste di riviste la cui scientificità ed eccellenza sono definite direttamente o indirettamente dall’ANVUR stessa (pp. 6, 7, 10) è dato per scontato e non ci si interroga mai, neppure genericamente, su un’emancipazione dalle banche dati proprietarie di Elsevier e Clarivate Analytics.

Anche se nel piano (p. 2) l’ANVUR si rappresenta come indipendente, giuridicamente – lo ricorda Roberto Caso (pp. 9 ss) – non lo è. Così scrisse, nel 2008, Fiorella Kostoris:

l’indipendenza dell’ANVUR è minata dalla mancanza di terzietà rispetto all’Esecutivo e dagli eccessi di controlli da parte dei vari stakeholders: tutti i membri del suo Consiglio Direttivo sono, infatti, scelti direttamente o indirettamente dal Titolare del MUR e a lui o al suo Dicastero riportano, segnalano, propongono.

Stando così le cose, è possibile che l’ANVUR eluda la sostanza degli impegni che ha firmato non perché non vuole, bensì perché non può. E che COARA abbia semplicemente sbagliato a includerla in luogo di chi veramente prende le decisioni, vale a dire il ministero dell’università e della ricerca.

E tuttavia, dalla parte italiana, si possono immaginare motivi profondi perché in COARA sieda un’agenzia esecutrice di ordini abbarbicata alla bibliometria che si fa passare come indipendente. Il già menzionato The forced battle between peer-review and scientometric research assessment: Why the CoARA initiative is unsound osserva che la revisione fra pari è fortemente influenzata dai pregiudizi personali, e perciò conviene affidarsi a oggettivi professionisti della bibliometria, eventualmente coadiuvati da SALAMI, che trattano gli scienziati come “risorse limitate” il cui impiego deve essere “ottimizzato”.

Resistiamo alla tentazione di rispondere che l’uso di statistiche automatizzate e no come armi di valutazione di massa aggrega pur sempre pregiudizi soggettivi. Autori che vantano un lungo impegno a favore della valutazione di stato si sono infatti chiesti: come è possibile riformare la valutazione della ricerca secondo le indicazioni europee, bilanciando o addirittura rimpiazzando la bibliometria? E si sono fatti rispondere che bisogna valutare le virtù dei ricercatori, vale a dire le loro motivazioni stabili e i tratti del loro carattere. Ma investire, nella patria di Giovanni Gentile, un’agenzia di nomina governativa del compito di giudicare le virtù dianoetiche ed etiche dei ricercatori potrebbe far tornare alla memoria il ricordo novecentesco – forse per alcuni gradito – dello stato etico.

Che avverrebbe se un’agenzia non indipendente nominata dal governo giudicasse gli addetti alla ricerca per il loro carattere, stilando classifiche delle istituzioni più ricche di virtù? Avverrebbe che la natura autoritaria della valutazione di stato diventerebbe molto più evidente. Di contro, un velo esoterico di statistiche, preferibilmente basate su dati chiusi e proprietari, consente di devolvere il tempo altrui in onerose procedure amministrative e in impotenti discussioni fra sottomessi sull’uno o l’altro indicatore – aiutando così a dimenticare che non di valutazione scientifica si tratta, bensì di valutazione di stato.


  1. Questo testo è riportato all’articolo 4 dei documenti dei gruppi di esperti valutatori reperibili qui. ↩︎
  2. Anche se è possibile concepire e coltivare alternative aperte. ↩︎
  3. Come stabilito dall’articolo 6 dei documenti dei gruppi di esperti valutatori dei settori cosiddetti bibliometrici reperibili qui. ↩︎
  4. L’autore è un ricercatore che opera anche come funzionario al servizio dell’ANVUR. Le sue posizioni, proprio perché in strutturale conflitto fra le ragioni, mertoniane, della scienza e quelle, amministrative, dell’agenzia, meritano la massima attenzione, almeno dal punto di vista amministrativo. Il suo articolo deplora che l’invocazione di un uso “responsabile” della bibliometria svilisca la professionalità e la competenza scientifica dei bibliometristi: e certamente questo sarebbe vero se l’esercizio della bibliometria fosse solo scientifico, e dunque aperto alla discussione e adozione libera da parte delle comunità degli studiosi, e non anche amministrativo, e perciò indiscutibile e imposto sulla base di una nomina direttamente o indirettamente governativa e non sul riconoscimento spontaneo di una qualche autorevolezza. ↩︎
  5. Oltre al menzionato impiego perentorio e non complementare di criteri bibliometrici per concedere la partecipazione come candidati e come commissari all’abilitazione scientifica nazionale nonché al sorteggio e alla nomina di esperto valutatore nella VQR 2020-2024, si segnalano i tentativi di negare o di ridimensionare per via amministrativa la scientificità della revisione paritaria aperta, e la minimizzazione del requisito dell’accesso aperto per quanto concerne le opere valutate nella VQR 2020-2024, rimesso all’arbitrio dell’editore e a un embargo straordinariamente lungo (ASN e VQR dopo l’adesione italiana a COARA, p. 7). ↩︎

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Il valore della ricerca: scienza aperta fra pubblicità e pubblicazione (Pisa, 7-8 novembre 2024)

Il IX convegno annuale dell’AISA, organizzato con la Scuola Normale Superiore, si svolgerà a Pisa il 7 e l’8 novembre 2024 e sarà dedicato a Il valore della ricerca: scienza aperta fra pubblicità e pubblicazione e sarà introdotto, la mattina del 7 novembre, da una tavola rotonda dedicata allo stato della scienza aperta in Italia.
Chi è interessato a partecipare, in presenza o a distanza, può iscriversi qui.