In lista: Anvur e la revisione paritaria aperta

Dopo aver negato quest’estate la scientificità e l’eccellenza (“classe A”) a Open Research Europe (ORE) per la sociologia generale, l’ANVUR ha aggiornato il suo regolamento per la classificazione delle riviste, aggiungendovi un articolo 18 dal titolo “Disposizione transitoria per la Open Peer Review”.

Il caso di ORE non è stato solo il primo atto di una violazione poi divenuta sistematica dei princìpi di COARA, la coalizione europea per la riforma della valutazione della ricerca verso una scienza più aperta e un uso meno irresponsabile della bibliometria, a cui l’agenzia ha aderito e partecipa. È stato anche un incidente diplomatico: negando la scientificità di ORE, l’ANVUR ha annunciato ai sociologi italiani che pubblicare i propri testi in un sito istituito dalla Commissione europea per sottoporre a revisione paritaria aperta gli articoli scritti dai vincitori di finanziamenti europei equivale, per la loro carriera accademica in Italia, a gettarli nel cestino della spazzatura.

L’ANVUR ora stabilisce, ma in via transitoria, quanto segue:

1. In alternativa ai requisiti previsti all’art. 13 c. 4,1 in caso di Riviste che adottino procedure di revisione aperta (open peer review) si prevedono – fatto salvo il rispetto delle regole etiche e di gestione dei conflitti di interesse precedentemente definite – i seguenti requisiti:
a. la tracciabilità di tutte le versioni dei contributi prodotte nel corso della procedura di revisione;
b. l’assegnazione di uno status specifico ai contributi che abbiano superato almeno due revisioni tra pari con esito positivo e la loro conseguente indicizzazione;
c. la chiara indicazione di eventuali integrazioni, modifiche o correzioni apportate dagli autori rispetto alle versioni precedenti.
Nel rispetto di quanto previsto dal c. 1, le Riviste che adottano adeguate procedure di revisione aperta sono considerate ammissibili ai fini della procedura di classificazione per l’inclusione negli elenchi delle Riviste Scientifiche e delle Riviste di Classe A, con riferimento ai soli articoli che risultino definitivamente accettati o che abbiano superato con esito positivo la revisione tra pari e che siano stati conseguentemente indicizzati.

Open Research Europe potrebbe finalmente fregiarsi dell’inclusione in tutte le liste dell’agenzia italiana? Per il momento, no: l’articolo 2 comma 2 stabilisce che le riviste accettabili “(a) prevedano l’edizione di più unità (fascicoli, volumi, numeri), con continuità e senza una data di conclusione predeterminata; (b) prevedano unità di pubblicazione formalmente identificabili e citabili (numerate e datate), che risultino in sé concluse e permettano l’identificazione al loro interno dei singoli contributi (tramite numerazione progressiva delle pagine e/o codice DOI assegnato a ciascun articolo)”.

ORE potrebbe forse darsi la pena di incaricare un box-ticker o barracaselle di creare periodicamente fascicoli in sé conclusi, numerati e datati, per accontentare l’agenzia italiana. Ma, al di là dell’interesse pragmatico, dobbiamo porci almeno due domande:

  1. Perché per l’agenzia è così importante che articoli già altrimenti identificabili nelle loro versioni. per esempio con il DOI, debbano essere organizzati in fascicoli come se uscissero a stampa?
  2. Un articolo che fosse respinto in seguito a una revisione paritaria aperta e tuttavia rimanesse pubblico, con le critiche dei revisori e le risposte degli autori, potrebbe essere considerato come titolo da una commissione scientifica locale o nazionale? Immaginiamo, per esempio, un giovane Galileo Galilei che si vede respinto un manoscritto intitolato “Sidereus Nuncius” tramite una revisione paritaria aperta a cura della Rivista di studi tolemaici, ad accesso aperto e di classe A, e che decide di lasciar pubblico l’articolo con i pareri negativi dei revisori e le sue risposte. Una commissione di concorso copernicana potrebbe riconoscere il suo “Sidereus Nuncius” come un titolo scientifico anche se, secondo l’ultimo comma dell’articolo 18, la valutazione amministrativa delle riviste è tenuta a ignorarlo? Le soglie bibliometriche permettono di eludere il problema, se il testo galileiano, pubblico ma respinto, non può essere riconosciuto come pubblicazione amministrativamente valida.

Come ricorda Alessandro Figà Talamanca in L’Impact Factor nella valutazione della ricerca e nello sviluppo dell’editoria scientifica, l’irregolarità nella pubblicazione era un motivo sufficiente per escludere riviste anche di grande tradizione, ma gestite in modo artigianale, dal database commerciale dell’ISI (ora in mano a Clarivate Analytics) sul quale si calcola il fattore d’impatto (JIF). L’esclusione, però, non aveva a che vedere con la qualità scientifica, bensì solo con la comodità e i costi del calcolo del JIF. E l’impatto di una rivista è tuttora, per il regolamento dell’ANVUR (articoli 15, comma 3 e 4), un elemento da considerare per conferirle la classe A.

Si è autorevolmente sostenuto che una situazione come quella del giovane Galileo Galilei è rara e improbabile, anche perché, sotto la valutazione di stato, gli studiosi sono precocemente addestrati a comportarsi da impiegati della ricerca e a sottoporre testi ortodossi alle riviste tolemaiche di classe A, che pure potrebbero essere luoghi di discussione scientificamente stimolanti per le provocazioni copernicane.

E tuttavia l’immaginario caso galileiano suggerisce che il nuovo regolamento sulle riviste non ha un fine in primo luogo scientifico, bensì bibliometrico, e che anche il transitorio articolo 18 opera per ridurre burocraticamente la revisione paritaria aperta in modo da renderla compatibile con la bibliometria. ANVUR fa parte di COARA – e un suo membro siede nel suo Steering Board – ma, a dispetto del terzo impegno dell’accordo continua a valutare i ricercatori, al servizio del MUR, con metriche basate sulle riviste e sulla loro classificazione, assumendole come criteri decisivi e non semplicemente complementari. Del resto, uno scenario in cui a valutare i testi pubblicati fossero davvero i pari della comunità scientifica, fuori dal controllo dell’ANVUR, e non invece la bibliometria di stato, ridimensionerebbe fortemente il ruolo dell’agenzia e del ministero dell’università e della ricerca che le sta alle spalle. E proprio per questo, probabilmente, l’agenzia preferisce tentare di ricondurre la revisione paritaria aperta a burocrazia, piuttosto che ridurre se stessa a scienza.


Aggiornamento
(19/11/2024): l’ANVUR ha applicato il regolamento esattamente come previsto.

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  1. Vale a dire: una revisione paritaria anonima almeno in singolo cieco, cioè da parte di revisori i cui nomi non sono noti all’autore.

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