Pagare per scrivere: quanto ci costa?

Esiste un sito, OpenAPC, che permette a università ed enti di ricerca di render pubblico quanto devolvono agli editori per pubblicare in riviste ad accesso aperto oppure ibride, quali buona parte di quelle coperte dai contratti conservativi (altrimenti detti “trasformativi”).
In mancanza di un’analisi dettagliata dei dati da parte del negoziatore collettivo italiano, se le istituzioni che aderiscono a questi contratti lo aggiornassero costantemente, sarebbe possibile ricostruire dal basso i l’esborso complessivo di denaro pubblico connesso – esborso che nel complesso sappiamo cospicuo e crescente.
Lo fa, per esempio, la Statale di Milano. Ma in Italia, nel 2023, l’hanno imitata soltanto altri quattro enti: la Normale, l’università di Modena e Reggio Emilia, la libera università di Bolzano e l’Istituto oncologico veneto. Eppure il primo passo per valutare se si spende collettivamente troppo e male sarebbe sapere e far sapere quanto si spende.

This text is licensed under a CC BY-SA 4.0 license

Premio per tesi sulla scienza aperta: bando 2024

Anche quest’anno, in occasione del suo IX convegno, l’Associazione italiana per la promozione della scienza aperta premierà le migliori tesi di dottorato e di specializzazione o di laurea magistrale dedicate alla scienza aperta e presentate negli anni 2022, 2023 e 2024.

Le indicazioni sulle modalità di partecipazione al concorso, il cui bando scade il 30 settembre 2024, sono consultabili a partire da questa pagina.

Lucus a non lucendo: perché boicottare i contratti “trasformativi”

1. L’origine dei contratti “trasformativi”

L’idea dei contratti chiamati “trasformativi” fu proposta da Ralf Schimmer, nel 2015 ancora alla Max Planck Digital Library, con l’intento esplicito di trasformare il minimo indispensabile.

Many who advocate open access envisage the development of a new publishing environment—new journals, new ways of operating—in which researchers can eventually be resettled. But it may be preferable to work with the publishing habitat that has evolved organically and bring open access into it. This could be achieved by transforming the existing core journals’ business models while simultaneously maintaining their function of providing quality assurance through peer review, publishing services and brand value.

This would enable a large-scale shift to open access while still providing researchers with the services and functions of the journal publishing system in which they are comfortable. The beauty of this idea is that the disruption would be perceptible only in the organisational domain in which the money is managed; since this side of business is typically hidden from researchers, authors.1

Per aprire l’accesso alla letteratura scientifica, sosteneva Schimmer, non occorre riorganizzarne la pubblicazione altrimenti e altrove; basta pagare gli editori commerciali per rendere i testi pubblici invece di riservarli agli abbonati. Questo avrebbe avuto il gradito effetto collaterale di conservare l’assicurazione della qualità tramite la revisione paritaria e la marchiatura dei contenuti organizzate dei “core journals” che li onorano col contenerli, esito secondo lui di un’evoluzione “biologica”,2 mentre gli addetti alla ricerca avrebbero continuato a giocare il gioco del publish or perish e della valutazione bibliometrica senza accorgersi di nulla.

Se continuiamo a venire a patti con un’industria della pubblicazione che ha fatto onore al suo nome solo quando la pandemia l’ha indotta a render temporaneamente pubblico ciò che di solito privatizza, è comprensibile che i contratti che pagano gli editori per leggere e per scrivere invece che per scrivere soltanto sembrino “trasformativi”. Dobbiamo, però, essere consapevoli che, fin dal loro concepimento, il loro scopo principale non era trasformativo, bensì conservativo: preservare un sistema di valutazione amministrativa basato sui contenitori, così da permettere agli oligopoli commerciali che ne hanno il controllo di rimanere tali pur in presenza di modi di pubblicazione più aperti, meno costosi, meno centralizzati e potenzialmente innovativi. Non a caso, nel frattempo, uno degli oligopolisti dell’editoria scientifica commerciale ha riconosciuto i meriti conservativi di Ralf Schimmer assumendolo direttamente. Fuori dall’Upside Down, però, i contratti da lui ispirati non sarebbero “trasformativi” bensì “conservativi”. E con questo nome, volendo camminare diritti, li chiameremo da qui in poi.

2. Data a non dandis: i contratti conservativi in Italia

Non era difficile prevedere che gli accordi ideati da Schimmer avrebbero trasformato ben poco dal lato dell’esborso di denaro pubblico, e conservato invece quasi tutto dal lato delle rendite di posizione dell’editoria commerciale. Come già documentato, gli oligopoli sono rimasti intatti e i prezzi non sono scesi.

In Italia, la Crui offre alle università italiane un servizio di negoziazione collettiva, Crui-Care, per concludere contratti di interesse comune. Ma quanto si spende in Italia per le licenze di accesso – in lettura e in scrittura – alla letteratura scientifica? Quali sono gli effetti della sottoscrizione degli accordi conservativi? Sono state fatte analisi costi/benefici in proposito? Se sì, perché non sono pubbliche? Se sì, come hanno influito sulle scelte di Crui-Care?

Ai costi palesi degli accordi, già altissimi – più di 36 milioni di euro per l’ultimo contratto con Wiley, più di 45 milioni di euro per quello in corso con Springer-Nature e più di 167 milioni di euro per quello rinegoziato l’anno scorso con Elsevier -, si aggiungono quelli del lavoro di autori, revisori e redattori, pagati con denaro e fondi di ricerca pubblici e dell’acquisto di servizi di analisi di dati e di SALAMI (impropriamente noti come AI) basati su quanto fornito gratis dalle università, nonché degli APC aggiuntivi richiesti a chi deve pubblicare ad accesso aperto una volta esaurito il numero annuale dei token riservati alla sua istituzione.3

In Gran Bretagna il negoziatore collettivo Jisc, svolgendo le funzioni di Crui-Care e spendendo denaro altrui, si è sentito in dovere di offrire una revisione critica approfondita sulle prospettive di trasformazione delle riviste oggetto dei contratti conservativi, e ha concluso che il passaggio all’accesso aperto pieno potrebbe avvenire fra circa settant’anni, quando saremo tutti morti. In Italia, alla lettera aperta dell’AISA che chiedeva una paragonabile elaborazione, il consorzio Crui-Care non ha risposto – cosa non sorprendente in un paese in cui i publisher combattono la pubblicità, i contratti “trasformativi” non trasformano e i dati non si danno. L’onere della giustificazione – pare naturale – non spetta a chi spende denaro altrui: spetta a chi ne chiede conto.

3. Auf Deutsch gesagt: perché boicottare i contratti conservativi

Si usa, in Italia, sottrarsi alle richieste di giustificazioni con argomenti esterovestiti, del tipo “è una prassi internazionale: chi siamo noi per discuterla?”. Indipendentemente dal fatto che all’estero gli accordi conservativi vengono discussi e perfino superati,4 consideriamo il termine di confronto della Germania, il cui consorzio DEAL ha concluso con Elsevier un lungo contratto conservativo quinquennale, come in Italia, ancorché con rilevantissime differenze quantitative e qualitative.5 E, a dispetto di Schimmer, qualche studioso tedesco si è reso conto della natura conservativa della trasformazione e ne ha scritto in un articolo pubblicato su Laborjournal.

Ulrich Dirnagl ricorda che scrittura, revisione e decisione di pubblicare sono in mano ai ricercatori, ma gli editori commerciali continuano a controllare, come prima della rivoluzione telematica, la porta della pubblicazione. La transizione dall’abbonamento, che discrimina i poveri in lettura, all’accesso aperto a pagamento, che discrimina i poveri in scrittura, continua a basarsi sul principio per il quale biblioteche, università ed enti di ricerca ricomprano a caro prezzo quanto hanno gratuitamente dato. Ed è difficile uscire da questa trappola – anche dove la valutazione amministrativa non è di stato – perché i professori potenti sono stati selezionati da un’economia della reputazione basata sulle riviste commerciali e sembrano incapaci – o indisposti – di mettere in gioco il loro valore in base a quello che scrivono invece che a dove lo scrivono.

Per questo anche gli accordi negoziati da DEAL sono conservativi: rafforzano l’oligopolio dei mercanti di reputazione a danno di innovatori come PLOS, Elife Sciences o EMBO.

I tedeschi, però, hanno anche un’esperienza diversa, e proprio con l’oligopolista più invadente: nel 2018, il consorzio DEAL, dopo due anni di negoziati, rifiutò di accettare le richieste esorbitanti di Elsevier e interruppe le trattative, privando circa 200 istituzioni dell’accesso alle sue riviste. Ma per la ricerca non avvenne nulla di catastrofico: i ricercatori si procurarono gli articoli editi da Elsevier con altri mezzi e alcuni di loro continuarono a pubblicare sulle sue riviste, mentre istituzioni come la Charité di Berlino, dove lavora Dirnagl, hanno potuto destinare quanto risparmiato alle spese vive. Perché dovrebbero, ora, firmare un nuovo contratto conservativo con Elsevier?

In Germania le singole istituzioni possono scegliere di non aderire. “In particolare” – scrive Dirnagl – “non dovremmo spendere i nostri finanziamenti alla ricerca per farci sorvegliare. Perché Elsevier fa proprio questo, e anzi si potrebbe dire che ora è l’attività principale del gruppo. Si chiama eufemisticamente data analytics business. Qui la tecnologia-chiave è un tracciamento pervasivo degli utenti, che ha luogo su tutte le piattaforme Elsevier. Elsevier sa chi fa ricerca su cosa, dove, quanto e con chi”. Oltre tutto, gli enormi profitti della multinazionale olandese sono investiti in intraprese di spionaggio ancora più inquietanti, quali Palantir. L’abbandono degli occhiuti oligopoli dell’editoria commerciale per orientarsi verso un Diamond open access, estraneo allo scopo di lucro, è addirittura caldeggiato a livello europeo.

L’esperienza tedesca, l’esperienza della sua stessa università, induce Ulrich Dirnagl a suggerire qualcosa che enti molto più poveri, quali quelli italiani, dovrebbero a maggior ragione prendere sul serio: non aderire ai contratti conservativi, rifiutandosi di continuare a pagare gli oligopolisti commerciali per l’accesso aperto, o, peggio, per l’accesso aperto ibrido. Ciò non impedirebbe agli autori che vogliono pubblicare ad accesso chiuso sulle riviste di questi ultimi di continuare a farlo, praticando, per l’accesso aperto, la via verde; nel frattempo le loro istituzioni spenderebbero i soldi di studenti e contribuenti per la ricerca e per i ricercatori, invece che per farli sorvegliare. Detto in tedesco suona semplice e chiaro: perché mai, in italiano, pare così difficile?

This text is licensed under a CC BY-SA 4.0 license

“Reliability, Transparency and Reproducibility” e valutazione della ricerca (Bologna, 20 maggio 2024)

L’Università di Bologna organizza un incontro sul tema Reliability, Transparency and Reproducibility allo scopo di indagare se e come affidabilità, trasparenza e riproducibilità dei risultati possano essere tradotte in criteri di valutazione della qualità della ricerca. L’evento si terrà il 20 maggio 2024 dalle ore 13.30 alle ore 18.30 in Aula Giorgio Prodi (Piazza San Giovanni in Monte 3, Bologna) ed è possibile anche parteciparvi da remoto. I dettagli sono visibili qui.

AISA: piano d’applicazione degli impegni sottoscritti nell’accordo COARA

L’unica attività valutativa svolta da AISA è quella connessa all’attribuzione di un premio per tesi dedicate alla scienza aperta.

Il premio è assegnato da una commissione giudicatrice composta da tre membri, nominata dal presidente d’intesa con il consiglio direttivo, il cui nome è reso noto, e che emette giudizi collegiali, una volta selezionate le tesi pertinenti, sulla base di una motivata applicazione di criteri qualitativi chiaramente specificati nel bando

Nello spirito della scienza aperta, le tesi, per partecipare al bando, devono essere rese disponibili a tutti su un archivio istituzionale o disciplinare pubblico, cioè in mano a biblioteche, università ed enti di ricerca, sotto una licenza aperta. La licenza che raccomandiamo è la Creative Commons Attribution Share-alike.

Qualora la ricerca contenuta nella tesi si basi su nuovi dati, e ciò sia legalmente possibile, chiediamo inoltre che questi dati vengano resi disponibili, preferibilmente in formato FAIR. Il formato dei dati è una raccomandazione e non un obbligo per non penalizzare i giovani studiosi la cui università non abbia fornito assistenza in merito.

Questi principi, qualora non già presenti, verranno inseriti già nel bando dell’anno in corso, che verrà pubblicato nell’estate 2024.

Che cosa chiedere agli editori

Nei Paesi Bassi il contratto trasformativo con l’editore Elsevier terminerà alla fine del 2024.

Il rapporto di JISC sui contratti trasformativi nel Regno Unito prevede che i contratti trasformativi ci metteranno almeno 70 anni per attuare il loro scopo nominale, vale a dire trasformare l’editoria ad accesso chiuso in editoria interamente ad accesso aperto: in Olanda si è dunque pensato che potesse essere utile un confronto fra i diversi portatori di interessi coinvolti nella contrattazione per l’acquisto e la fruizione dei contenuti scientifici. In questi anni, infatti, i Paesi Bassi non solo hanno rafforzato le politiche di Open science, ma si sono anche orientati verso l’autonomia digitale tramite la creazione e la promozione di infrastrutture pubbliche. E proprio la crescente insoddisfazione nei confronti dei costosi servizi dei servizi dei privati ha ispirato la necessità di discuterli pubblicamente.

Perciò, il 18 aprile 2024, il consorzio delle 14 università pubbliche olandesi ha organizzato un incontro in cui editori, esperti di comunicazione scientifica, istituzioni, bibliotecari e ricercatori si sono chiesti cosa richiedere agli editori commerciali in generale – e non soltanto a Elsevier – nei prossimi negoziati.

Qui è possibile vedere il programma e gli abstract delle diverse sessioni.

Di particolar interesse è il commento documentato e critico sull’incontro di Rene Bekkers, direttore del Center for Philanthropic Studies at the Department of Sociology of the Vrije Universiteit (VU) di Amsterdam,

I profitti non solo di Elsevier ma degli editori commerciali in generale – scrive Bekkers – sono oltraggiosamente elevati, soprattutto se consideriamo e che il presunto valore aggiunto dato dalla selezione editoriale dei testi non dipende da loro, ma dal lavoro volontario dei ricercatori che includono la revisione paritaria fra i propri doveri.

Lo status quo dell’editoria commerciale e dei suoi profitti “oltraggiosi” non è però dovuto solo agli editori, bensì anche:

  • alle società scientifiche che hanno bisogno dei profitti ricavati dalle riviste pubblicate presso editori commerciali per finanziare il proprio funzionamento.
  • alle istituzioni che continuano a fondare le proprie decisioni sul “prestigio” di sedi editoriali costosissime, sebbene l’editoria scientifica sia ormai inquinata da un’inflazione di ricerche inutili, o inventate, o con risultati ritoccati.

La pressione a pubblicare rende inoltre sempre più difficile alla revisione paritaria fungere da garanzia di qualità perché la quantità di articoli sottomessi alle riviste “prestigiose” è ormai ben superiore a quanto può essere seriamente rivisto.

Che dovremmo volere dagli editori?

Le risposte di Bekkers sono secche: dovremmo farci restituire l’enorme quantità di soldi che ci hanno estorto per servizi che non sono in grado di svolgere, e rebus sic stantibus, non dovremmo chieder loro nient’altro, a meno che non si trasformino in organizzazioni senza fini di lucro, perché non aggiungono nessun valore alle nostre pubblicazioni. E anche se, meno radicalmente, riconoscessimo gli editori commerciali come un male necessario, dovremmo almeno pretendere un impegno a migliorare la trasparenza e la qualità delle pubblicazioni attraverso forme più strutturate di peer review, la pubblicazione dei pareri dei revisori, l’aggiunta di link alla preregistrazione della ricerca e ai preprint, e l’ associazione alla pubblicazione di dati, codice e materiali accessibili.

Anche se in Italia pochi discutono e chiedono di monitorare e valutare il sistema attuale di contrattazione e la consultazione dei portatori di interesse e ed esperti non è pubblica, CRUI-CARE potrebbe avere un interesse, almeno economico, a tener presenti queste proposte nelle prossime contrattazioni.

This text is licensed under a CC BY-SA 4.0 license

Contratti trasformativi: perché, in Italia, varrebbe la pena discuterne

Come capire se un articolo è scientificamente attendibile?

Dalla seconda metà del secolo scorso molte amministrazioni statali e universitarie hanno smesso di fidarsi della discussione pubblica fra scienziati per confidare in aziende private che contano le citazioni e vendono i loro calcoli. L’idea è che una rivista molto citata sia migliore di una rivista citata meno, e un articolo molto citato in riviste molto citate sia migliore di un articolo citato meno.

Questo sistema, che permette ai burocrati di valutare la scienza senza averne la più pallida idea, ha aiutato gli editori di riviste molto citate a imporre prezzi sempre più alti per abbonamenti che i ricercatori esigono e le amministrazioni pagano per comprare valutazione. Dal punto di vista della scienza, però, prezzi alti e crescenti negano l’accesso alle pubblicazioni sia ai ricercatori di istituzioni povere, sia ai cittadini che avrebbero diritto a leggere i risultati della ricerca pagata con i loro soldi. Il movimento per l’accesso aperto – ora perfino con l’accordo dei vertici dell’Unione europea – ritiene questo sistema non solo ingiustificabile, ma anche talmente inefficiente da dover essere sospeso nel periodo della pandemia, quando era vitale che i ricercatori ricercassero e i cittadini sapessero.

Come rendere i testi accessibili senza sottrarre la valutazione della ricerca agli editori scientifici commerciali e alle aziende di analisi dei dati? Si è pensato che garantire agli editori – con accordi detti trasformativi – una transizione in cui incassassero soldi sia per far leggere testi ad accesso chiuso, sia per pubblicare testi ad accesso aperto li avrebbe incoraggiati a mettere tutto, infine, ad accesso aperto.

Ma perché un editore che può farsi pagare due volte, per gli abbonamenti e per la pubblicazione ad accesso aperto, dovrebbe trasformarsi per farsi pagare una volta soltanto – soprattutto se le biblioteche rimangono obbligate a comprare le sue riviste perché le amministrazioni continuano a delegargli la valutazione della ricerca?

Non sorprendentemente, gli accordi trasformativi sono falliti: pochissime riviste hanno accettato di farsi pagare una volta sola anziché due, passando all’accesso aperto pieno. Fuori d’Italia molte istituzioni che, facendo uso di denaro dei contribuenti, rendono disponibili i loro dati e li analizzano, l’hanno riconosciuto.

In Italia, questi accordi sono stati negoziati e verranno rinegoziati dal servizio Crui-Care, offerto non gratuitamente dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane. Ma i dati che la Crui rende pubblici sono pochi, difficili da trovare e non analizzati. Per dare un’idea delle cifre in gioco, l’ultimo contratto italiano con Wiley ammonta a più di 36 milioni di euro, quello in corso con Springer a più di 45 milioni di euro, e quello rinegoziato lo scorso anno con Elsevier a più di 167 milioni di euro.

Per questo AISA chiede alla Crui di pubblicare tutti i dati in merito agli accordi trasformativi e di proporre le proprie analisi. Infatti, se in Italia questi accordi avessero avuto un successo così eccezionale da render superflua ogni discussione, mostrarli, analizzarli e farli analizzare sarebbe un interesse non solo nostro, ma anche suo.

Testo della lettera aperta di AISA alla Crui

This text is licensed under a CC BY-SA 4.0 license

L’università di Zurigo abbandona il ranking THE

Lo segnala l’Open science blog della Statale di Milano. Fra i motivi di questa scelta merita menzionare la partecipazione dell’ateneo svizzero a COARA, la mole di lavoro amministrativo, a carico dell’università, generata dalla necessità di preparare e consegnare dati a THE, la sottomissione delle istituzioni indicizzate a criteri quantitativi, scelti dall’azienda classificatrice, che non rappresentano affatto la complessità della loro attività.