Il professor Emanuele Conte, membro del nostro consiglio direttivo, è fra i candidati allo steering board di COARA. Lo abbiamo candidato non soltanto per la sua lunga e significativa esperienza nell’editoria accademica ad accesso aperto, ma soprattutto perché, come studioso e storico del diritto, è in grado di orientarsi e di orientare la valutazione della ricerca verso la scienza aperta anche dove le norme l’hanno costruita amministrativa e centralizzata, e dunque refrattaria a iniziative di riforma condivise e partecipate.
Utrecht e noi: perché continuare a sottomettersi alle classificazioni commerciali?
Quest’anno l’università di Utrecht non offrirà i suoi dati al Times Higher Education (THE) World University Ranking del 2024, escludendosi così da una classifica nella quale occupava il sessantaseiesimo posto. Oltre oceano, le facoltà giuridiche di università famose come Harvard, Stanford, Columbia e Yale hanno fatto qualcosa di simile con U.S. News & World Report, e facoltà di medicina altrettanto note le hanno imitate.
I motivi della decisione dell’università olandese sono due:
- le classifiche spingono le università alla competizione, in contrasto con la scienza (aperta) praticata a Utrecht, che richiede trasparenza e cooperazione;
- essendo basate su criteri scelti dalle aziende che le smerciano, le classifiche comportano una radicale riduzione di autonomia per le università che le prendono sul serio.
La misurazione è una riduzione di complessità che produce perdita di informazione e dipende da scelte arbitrarie – tanto più quando, spacciata come rappresentazione di attività variegate e multidimensionali come quelle universitarie, è esito di una combinazione di criteri molteplici, selezionati arbitrariamente, arbitrariamente associati a indicatori numerici, e a loro volta arbitrariamente aggregati e pesati.
Questa conoscenza era già accessibile a chi si fosse seriamente o semiseriamente informato e, fuori d’Italia, anche ai lettori della stampa non specializzata. Nel 2016 Cathy O’Neal, nel terzo capitolo di un libro molto letto, aveva spiegato come la classifica di U.S. News & World Report, per apparire credibile, era stata disegnata così da mettere ai vertici università famose (e costose) come Harvard, Stanford, Princeton e Yale – cosa possibile solo senza inserire l’ammontare delle tasse richieste agli studenti fra i parametri. L’adozione della classifica come arma di valutazione di massa indusse le università americane a competere senza badare a spese, potendole scaricare sulle rette degli studenti, il cui costo non influiva sul loro posizionamento.
Perché ballare alla musica altrui, secondo coreografie disegnate da altri, e con una giuria il cui scopo è vendere classifiche – e posizionamenti – che “dal punto di vista delle scienze sociali sono spazzatura”?
Chi governa un’università italiana di solito risponde: “non è vero, ma ci credono“. Si teme che uscire dai cosiddetti ranking – in qualche ateneo c’è perfino un prorettore o un delegato ad hoc – sottragga studenti, docenti e finanziamenti internazionali deliberati in base a essi. Ma ora anche chi fosse sordo all’argomento che un’università la quale faccia finta d credere a esose fattucchiere senza più cercare di avere l’autorevolezza scientifica per mostrarne l’impostura dovrebbe rendersi conto, come si comincia a capire in Olanda e negli USA, che il “ci credono” dipende anche dalla sua sottomissione superstiziosa – pragmatica, forse, nel brevissimo termine, ma sostanzialmente autolesionista. Fra gli stessi impegni di COARA – nonostante il blocco pluriennale imposto dall’ANVUR e dal MUR – ce n’è uno che potrebbe essere applicato subito: il quarto, che richiede di “evitare l’uso delle classifiche (ranking) degli organismi di ricerca nella valutazione della ricerca”.
Ma come faranno gli studenti a scegliere presso quale università frequentare un corso di laurea o di dottorato, e i ricercatori non locali a decidere con che collaborare? A Utrecht rispondono così: guardando i contenuti e l’organizzazione dei corsi, e considerando la qualità della ricerca – cosa, questa, possibile, contro l’alchimia delle valutazioni aliene, commerciali o statali che siano, solo in virtù dell’adozione delle pratiche della scienza e della didattica aperta.
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ANVUR e COARA: una relazione complicata
La valutazione della ricerca in Italia è amministrativa e centralizzata nelle mani dell’ANVUR, agenzia i cui vertici sono di nomina governativa, sotto il controllo regolamentare del ministero dell’università e della ricerca (MUR). Questa valutazione di stato ricorre capillarmente alla bibliometria, vale a dire a computazioni basate sul numero di pubblicazioni e citazioni come riportato da due database oligopolistici e proprietari, Scopus e Clarivate Analytics (ISI), o come calcolato in base a liste tramite le quali l’ANVUR stabilisce, per via amministrativa, sia la scientificità sia l’eccellenza delle riviste.
Ciò nonostante l’agenzia ha aderito a COARA, coalizione promossa dall’Unione Europea alla scopo di superare una valutazione esclusivamente bibliometrica, di riconoscere la molteplicità delle espressioni della ricerca e di incentrarla sulle pratiche della scienza aperta.
Finora, però, l’ANVUR non ha onorato la sua firma: ha negato la scientificità di Open Research Europe,1 piattaforma che la Commissione europea mette a disposizione dei partecipanti di progetti di ricerca a finanziamento comunitario per pubblicare ad accesso e con revisione paritaria aperti e ha emanato un bando per il prossimo esercizio nazionale della valutazione di stato (VQR 2020-2024) nel quale non solo l’accesso aperto è un requisito facilmente eludibile, ma sarà possibile continuare a impiegare la bibliometria, purché corredata di qualche frasetta qualitativa. La bibliometria viene inoltre usata per determinare la candidabilità dei valutatori, e rimane un requisito perentorio per commissari e candidati che desiderano concorrere all’Abilitazione scientifica nazionale, la quale conferisce un titolo indispensabile per aspirare a diventare professori.
Perché l’ANVUR non rispetta gli impegni europei che ha formalmente sottoscritto? Delle due l’una: o perché non può, essendo agli ordini del MUR, o perché non vuole, avendo avuto fin dall’inizio la recondita intenzione di paralizzare un processo che ne mette a repentaglio l’autorità, che è amministrativa e bibliometrica ma non scientifica. In ogni caso, però, è inevitabile chiedersi (1) a che titolo l’ANVUR continui a partecipare a COARA e al suo capitolo nazionale italiano, pur violandone costantemente l’accordo e (2) se e come COARA sia in grado di assicurare che i suoi aderenti mantengano le promesse in esso contenute.
Questo testo riassume il comunicato, più lungo e dettagliato, Taking all the running one can do, to keep in the same place: ANVUR’s complicated relationship with the COARA agreement, pubblicato nella sezione inglese del nostro sito.
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Cronaca del nostro VIII convegno: #AISA8
Quando non impegnati in altro, cercheremo di fare la cronaca del nostro VIII convegno su Mastodon, con questo hashtag:
#AISA8
Se non avete ancora un’utenza Mastodon, seguite questo link d’invito.
La scienza dell’Upside Down e la libertà perduta
Note di Roberto Caso a margine dei primi otto anni di vita dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta
I. L’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA) è nata con una conferenza tenutasi a Roma presso La Sapienza grazie all’organizzazione e all’ospitalità di Giovanni Destro Bisol e Paolo Anagnostou nel marzo del 2015. Nell’ottobre dello stesso anno si tenne, grazie al coordinamento di Maria Chiara Pievatolo, il primo convegno annuale presso l’Università di Pisa. Pisa è luogo simbolico. Uno degli atti fondativi della scienza moderna come scienza pubblica, non segreta, è nella scelta di Galileo Galilei di dare alle stampe il Sidereus Nuncius, una scelta che il grande pisano compì con l’intenzione di raggiungere il maggior numero possibile di lettori.
I soci fondatori vollero scrivere uno statuto che rispecchiasse l’idea della scienza come comunità umana autonoma, libera, democratica che dialoga in pubblico con le tecnologie della parola. L’associazione non solo promuove la scienza aperta, ma opera in base ai suoi valori e principi. Ciò spiega perché tutta la documentazione fondamentale è pubblica e accessibile sul web e perché le cariche direttive non possono essere a vita, ma hanno durata limitata. In particolare, gli articoli 5 e 6 dello statuto prevedono che membri del consiglio e presidente non possono essere rieletti consecutivamente per più di una volta. In altri termini, la carica non può durare più di otto anni consecutivi.
Ho avuto l’onore di essere stato eletto presidente a Roma nel 2015 e rieletto per il secondo mandato nel convegno annuale di Udine del novembre del 2019. Ora, nell’ottobre del 2023, in occcasione dell’ottavo convegno annuale presso l’Università di Bari, cedo il testimone alla prossima presidenza.
Ci tengo a ringraziare a tutti i soci, il primo e il secondo consiglio direttivo e tutte le persone che hanno collaborato con l’AISA pur non facendone parte, a cominciare dalle relatrici e dai relatori che hanno partecipato alle tante iniziative convegnistiche e seminariali dell’associazione. Ci tengo a ringraziare anche i soci che non sono più con noi e ci mancano molto: Pietro Greco e Paolo Anagnostou.
Oggi l’associazione è un po’ più grande (o un po’ meno piccola) del nucleo iniziale del 2015, gode di buona salute finanziaria ed ha qualche eco in Italia e all’estero. Ma il lavoro da svolgere per promuovere la scienza aperta in Italia resta enorme. Pur lasciando la presidenza, continuerò – se l’AISA lo vorrà e lo riterrà utile – a dedicare tempo ed energie alla vita e all’attività associative.
Viviamo, com’è noto, un’epoca “difficile” per l’umanità. La scienza non è immune dai problemi che affliggono gli esseri umani e il mondo che (temporaneamente) abitano.
II. Per provare a spiegare alcuni aspetti di questi problemi userò un esperimento mentale che si basa una metafora cinematografica familiare anche ai più giovani.
Immaginiamo che esista un mondo parallelo alla scienza umana, una sorta di Upside Down. Un Sottosopra tenebroso, cupo, corrotto, popolato da creature mostruose prive di libertà che rispondono agli ordini di un malefico essere superiore (Mind Flyer).
In questa realtà parallela a quella umana, la scienza non risponde ad argomenti discutibili e falsificabili, ma a numeri. La comunità scientifica non si organizza secondo norme etiche, ma viene governata dai numeri riferibili a “prodotti“. Ad esempio, la valutazione della ricerca, per le più svariate finalità, si basa essenzialmente su indicatori, algoritmi e metriche. I fondi per il finanziamento della ricerca di base e la progressione di carriera dei ricercatori vengono distribuiti partecipando a una competizione feroce e senza esclusione di colpi (anche scorretti) che si gioca con misure quantitative. Questa competizione sembra assomigliare più a una guerra che a una gara sportiva. Non è un caso che in questa dimensione orrorifica si sia diffuso un motto: pubblica o (scientificamente) muori. Pubblica qualsiasi cosa anche poco o per niente originale, purché faccia numero. Pubblica e paga – se “necessario” – o muori.
Ad una prima occhiata superficiale questo sistema ha i suoi punti forti. Le decisioni si prendono rapidamente, senza troppe e lunghe discussioni pubbliche, facendo riferimento a misure (apparentemente) oggettive. Si producono classifiche di ogni tipo che orientano le decisioni di tutti. Si premiano i vincitori con denaro e medaglie di merito (la cosiddetta eccellenza).
Cosa c’è di più scientifico dei numeri? Se i numeri sono il linguaggio della scienza, perché non dovrebbero essere strumenti di governo e decisione della comunità degli scienziati?
La risposta a queste domande non è scontata, almeno dal punto di vista della scienza (umana) moderna.
I numeri della valutazione non sono nella disponibilità delle creature inferiori del Sottosopra, ma sono chiuse in poche piattaforme di analisi dei dati protette da proprietà intellettuale, misure tecnologiche e prezzo del contratto di abbonamento. Le creature, costantemente sorvegliate, devono pagare, con denaro (se possono permetterselo) e dati personali, il calcolo dei numeri valutativi da parte delle banche dati oligopolistiche. Le creature non possono replicare i calcoli effettuati dalle banche dati. Le creature non sono uguali: ci sono valutati e valutatori. I valutatori sono creature più mostruose delle altre e sono armate di spade magiche. Le spade magiche traggono il proprio potere offensivo direttamente dall’essere superiore malefico che sorveglia, valuta e punisce. Ai valutati che pensano di subire giudizi ingiusti non rimane che rivolgersi, tramite gli Avvocati Mostruosi Amministrativisti (AMM), al Tribunale Mostruoso del Sottosopra (TMS) ed eventualmente, in ultima istanza, al Consiglio Mostruoso del Sottosopra (CMS).
La conoscenza prodotta dalle creature mostruose (valutati e valutatori) viene protetta da proprietà intellettuale e ceduta ai “monopoli intellettuali” che nel mondo gerarchico del Sottosopra sono mostri di maggiori dimensioni, più voraci e aggressivi che si collocano sul gradino immediatamente inferiore a quello dove siede l’essere malefico superiore. I monopoli intellettuali hanno il controllo delle infrastrutture tecnologiche e dei dati. Persino se si tratta di conoscenza che salva la vita delle creature essa viene protetta da brevetti destinati ad essere ceduti ai monopoli intellettuali. Una parte della popolazione che vive nelle zone più povere del Sottosopra sarà per questo condannata a morire, ma tale esito fatale in un mondo mostruoso non interessa alle creature più ricche e fortunate.
Per quanto prive di libertà le creature mostruose biologiche del Sottosopra trovano nel servire il capo e nello scalare la gerarchia della mostruosità la ragione della propria esistenza (scientifica o commerciale), ma non sanno che l’essere malefico progetta il loro annientamento e la loro sostituzione con macchine non biologiche che si cibano di grandi quantità di dati. Tali macchine chiamate Intelligenza Mostruosa (IM) promettono, dopo un bagno nell’etica di facciata, di fare a meno della teoria e di generare ragionamenti scientifici “migliori” delle creature mostruose biologiche.
La scienza dell’Upside Down è mostruosa perché rappresenta una perversione della scienza umana moderna. Quest’ultima emula i meccanismi di governo di una società democratica nella quale la conoscenza costituisce un bene comune inappropriabile, l’uomo di scienza, anche quando appartenente a un’istituzione, fa uso pubblico della ragione e la legittimazione a criticare gli altri uomini di scienza non deriva da un potere politico, amministrativo o economico ma dallo studio.
Insomma, la scienza del Sottosopra non ha niente di scientifico. Le sue apparenti virtù – traduzioni di argomenti in numeri, rapidità e indiscutibilità delle decisioni, accentramento e verticalizzazione dell’organizzazione della ricerca, proprietà intellettuale – non sono altro che manifestazioni di un potere politico ed economico autoritario.
Immaginiamo alla fine di questo esperimento mentale che la scienza del mondo del Sottosopra sia riuscita ad aprire un portale sul mondo degli uomini e abbia incominciato ad avvelenare la scienza umana. Abbiamo bisogno di un altro eroe (o di un altro supereroe) per salvare la scienza degli uomini? Nella serie TV a cui si ispira questo esperimento mentale non sono eroi a salvare il mondo, ma un piccolo gruppo di adolescenti dotati solo di solidarietà, fantasia e ingenuità.
Morale: per lasciare un’eredità alle nuove generazioni e (provare a) cambiare (in meglio) il mondo in cui gli scienziati lavorano non occorrono eroi, ma insegnanti e studenti disposti a impegnarsi a esplorare strade alternative.
III. In questi otto anni l’AISA ha provato a tener vivo il dibattito italiano sulla scienza aperta e a discutere pubblicamente qualche proposta su come cambiare il sistema.
La formulazione delle proposte nasce da una visione scientifica della realtà che non accetta l’assioma in base al quale non c’è un’alternativa (TINA). Nel progresso della conoscenza come nella politica esistono sempre alternative in attesa di essere esplorate e sperimentate.
Per dare un’idea delle proposte dell’AISA mi limito ad alcuni esempi che riguardano le quattro sessioni in cui è articolato l’ottavo convegno annuale dell’associazione: a) valutazione; b) monopoli intellettuali; c) infrastrutture; d) formazione.
a) Valutazione. Non si può discutere di valutazione senza interrogarsi sull’autonomia e sulla libertà di valutatori e valutati (v. qui, qui, qui, qui e qui). In Italia la valutazione amministrativa di Stato è espressione del potere esecutivo. La legittimazione di questo potere non viene dalla scienza ma da un potere (il Governo) dello Stato sorvegliato dal giudice amministrativo. Che il potere esecutivo abbia un ruolo così rilevante nel sistema della ricerca è una questione giuridica che va analizzata alla luce degli art. 21 e 33 della Costituzione italiana nonché degli art. 11 e 13 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Oggi in Europa si discute di riforma della valutazione della ricerca, ma questa discussione non può prescindere dal diritto e dalle leggi che determinano ruoli e poteri dei valutatori. Non è solo questione di come si valuta, ma anche e soprattutto di chi ha il potere di farlo e con quali strumenti giuridici. La formalizzazione giuridica dei processi e delle regole della valutazione ha un impatto profondo sulle norme sociali della scienza. Tale impatto merita di essere studiato attentamente.
b) Proprietà intellettuale e monopoli intellettuali. Qual è il ruolo della scienza che non opera (o non dovrebbe operare) per il profitto? A quali principi deve rispondere il rapporto tra università e mercato? Ad es. l’università come deve relazionarsi alle imprese editoriali e di analisi dei dati della valutazione della ricerca o alle imprese farmaceutiche? Quando tali imprese hanno potere monopolistico, a quali politiche l’università deve rispondere? A queste domande AISA ha provato a rispondere non solo organizzando occasioni di dibattito pubblico (v., ad es., qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui), e prendendo posizione pubblica nei processi di normazione (v. qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui), ma anche avanzando proposte di cambiamento del sistema. Mi riferisco alla proposta di modifica della legge italiana sul diritto d’autore volta a istituire un nuovo diritto di ripubblicazione in accesso aperto delle opere scientifiche (Secondary Publication Right) e alla proposta di vaccino aperto, cioè libero da proprietà intellettuale.
c) Infrastrutture tecnologiche. Se anche tutta la scienza fosse libera da proprietà intellettuale, si porrebbe il problema di chi ha il controllo delle infrastrutture tecnologiche e il potere computazionale per processare dati e informazioni. A maggior ragione il problema si pone in un mondo in cui i monopoli intellettuali associano il potere giuridico della proprietà intellettuale a quello di fatto che deriva dal controllo delle infrastrutture. Per questa ragione l’AISA non solo ha voluto porre in esponente il dibattito sulle infrastrutture tecnologiche, ma ha anche voluto testimoniare che esistono alternative – in Italia il GARR (v. qui e qui) – all’uso delle piattaforme che fanno capo ai monopoli intellettuali.
d) Formazione. Se c’è una possibilità di cambiare (in meglio) il sistema sta nella formazione, cioè nell’insegnamento. Si tratta, invero, del tema più importante. Senza insegnare alle nuove generazioni nelle scuole e nelle università cosa è la scienza aperta e come praticarla, il mondo del Sottosopra è destinato a prendere il sopravvento.
IV. L’ottavo convegno annuale dell’AISA cade, purtroppo, in un periodo storico molto difficile in cui la guerra ha occupato la quotidianità degli uomini. Non è inopportuno richiamare il nesso che esiste tra la scienza aperta e la pace. Chiudo, perciò, riproducendo le parole che Maria Chiara Pievatolo ha scritto poco tempo fa a nome dell’AISA.
“Se s’intende la scienza aperta come un metodo d’indagine e di discussione fondato sulla libertà dell’uso pubblico della ragione e non come un adempimento amministrativo, è difficile immaginarla compatibile sia con la ricerca direttamente finalizzata a scopi bellici, sia con il suo indiretto asservimento alla potenza degli stati armati per la guerra. Se infatti riconoscessimo che la guerra è un modo legittimo di risolvere le controversie internazionali e non solo una triste necessità da superare al più presto, dovremmo ammettere, contro la ricerca della verità, un uso legittimo della menzogna propagandistica, e, contro il perseguimento di composizioni dei conflitti che pongano fine alla violenza, un appello legittimo alla legge del più forte. Fra la libertà della ricerca e la pace come impegno comune alla costruzione di un confronto non violento c’è dunque un nesso non accidentale, sia per il metodo dell’indagine, sia per l’interesse dell’umanità alla sopravvivenza e all’emancipazione. Come associazione per la promozione della scienza aperta ci proponiamo di approfondire questo tema aggiungendolo fra gli argomenti delle nostre iniziative future”.
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Un commento non richiesto sul bando per la valutazione di stato VQR 2020-2024
L’ANVUR rende disponibile, qui, una bozza del bando per il prossimo esercizio di valutazione della ricerca, burocraticamente noto come VQR 2020-2024. È un documento coerente nel metodo e nel merito.
Nel metodo, il fine della pubblicazione della bozza è la “consultazione con la comunità scientifica allo scopo di raccogliere osservazioni e commenti da parte delle istituzioni interessate e dei principali portatori di interesse”. Ma gli unici a essere consultati sono i rettori e i presidenti di enti di ricerca, e i loro pareri, nonché quelli eventuali che alcuni di essi, per il loro buon cuore, vanno raccogliendo fra i ricercatori. Questi commenti, inoltre, non sono pubblici. Non si tratta, dunque, di una discussione scientifica, bensì di una consultazione amministrativa riservata2 a chi vuole farsi, nelle stanze segrete, consigliere del principe per un giorno.
Nel merito, chi valuterà la ricerca? L’articolo 3 del bando spiega che il 75% dei membri dei gruppi di esperti valutatori, burocraticamente noti come GEV, saranno sorteggiati. I candidati al sorteggio, che già si autoselezionano fra quanti, per motivi teorici o pragmatici, sono favorevoli alla valutazione di stato, sono anche oggetto di selezione bibliometrica: devono infatti godere, per quanto concerne le loro pubblicazioni, dei valori-soglia necessari per far parte di un collegio di dottorato (art. 3.1).
Chi è tentato di vedere nel sorteggio un omaggio alla diffidenza della democrazia antica per i rischi aristocratici dell’elezione deve considerare che il restante 25% dei componenti dei GEV verrà designato dall’ANVUR, sempre entro una base determinata bibliometricamente (art. 3.4). L’ANVUR inoltre interverrà a integrare i GEV qualora la procedura non riesca a produrre gruppi con i requisiti dell’articolo 3 comma 4 menzionato sopra, e a nominare i loro coordinatori (art. 3.16). Infine (art. 3.22), il consiglio direttivo dell’ANVUR può sostituire i membri di un GEV in caso di non specificate “criticità emerse in sede di verifica in itinere sull’andamento del processo di valutazione, sentito il coordinatore”, che è di sua nomina. A dispetto del sorteggio, il controllo gerarchico del consiglio direttivo dell’ANVUR è confermato dalle nomine strategiche e dalla possibilità di rimuovere i valutatori a suo arbitrio: non si tratta, del resto, di valutazione scientifica, ma di valutazione di stato, da parte di un’agenzia nominata dal governo.
L’ANVUR ha aderito alla riforma europea della valutazione della ricerca che fa capo alla coalizione COARA e siede nella sua commissione direttiva. Ma a quale scopo e con quale coerenza?3 Mentre il terzo impegno (p. 6) dell’accordo europeo richiede di “abbandonare l’uso inappropriato, nella valutazione della ricerca, di misure basate su riviste e pubblicazioni, e in particolare del fattore d’impatto (JIF) e dell’indice H”, l’ANVUR valuta i valutatori, nei settori cosiddetti bibliometrici, sulla base delle citazioni e dell’indice H, e nei settori detti impropriamente4 non bibliometrici sulla base di soglie quantitative calcolate su liste di riviste di compilazione amministrativa. Anche ai valutati sarà difficile sfuggire a questo destino: il primo comma dell’articolo 7 consente l’uso di indicatori citazionali, anche se (art. 7.2) “tali indici non possono comunque sostituirsi a un’accurata valutazione di merito del prodotto della ricerca, né tantomeno tradursi in una automatica assegnazione del prodotto” alle categorie elencate dal successivo comma 9 – formulazione, questa, che consentirà di continuare a praticare la valutazione bibliometrica con l’accorgimento di corredarla con qualche frasetta qualitativa.
Anche per quanto concerne l’accesso aperto, il documento toglie con una mano il poco che sembra dare con l’altra. L’articolo 8 (primo comma, punto a) richiede l’accesso aperto “in caso di pubblicazioni relative a risultati di ricerche finanziate per una quota pari o superiore al 50% con fondi pubblici, e in generale per tutte le pubblicazioni per le quali l’editore lo consente.” L’accesso però può essere differito secondo le scadenze straordinariamente lunghe della legge 112 del 2013, di un anno e mezzo per i testi di scienze, tecnologia, ingegneria e matematica e di due anni per quelli di scienze sociali e umane. E il punto b dello stesso comma si accontenta dell’accesso al metadato di riferimento “per i prodotti relativi a risultati di ricerche finanziate per una quota inferiore al 50% con fondi pubblici, ovvero con periodi di embargo superiori a quelli indicati alla lettera a) o in tutti i casi in cui la diffusione non sia autorizzata dall’editore” – suggerendo dunque che si tratta di un open access alle calende greche e a discrezioni degli editori. Invece il parere degli autori, detentori originari di un copyright che non necessariamente è ceduto agli editori, non conta nulla.
Sui criteri e i processi di valutazione, il primo principio di COARA (p. 3) connette la qualità della ricerca all’apertura, intesa come “condivisione precoce di conoscenze e dati e collaborazione aperta – impegno sociale compreso qualora appropriato”. L’accesso aperto del bando, ridotto ai minimi termini, è ben lontano dall’applicarlo, anche qui coerentemente con il metodo di discussione scelto dall’ANVUR.5
I funzionari dell’agenzia si possono difendere, certo, riconoscendo di non essere indipendenti, bensì subordinati alla legislazione e al diritto amministrativo vigente. Se così fosse, però, perché mai hanno sottoscritto e si sono proposti alla guida di un processo i cui impegni non sono in grado di mantenere?
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Premio per tesi sulla scienza aperta (bando 2023): i vincitori
La commissione giudicatrice ha concluso la valutazione delle tesi concorrenti al bando di quest’anno e ha proclamato vincitori ex aequo, per le tesi di laurea magistrale, la dottoressa Miriana Ferro, la dottoressa Camilla Franch e il dottor Marco Lezcano.
Il verbale dei lavori della commissione, composta da Daniela Tafani. Paola Galimberti, Stefano Bianco e Ilaria Fava è visibile qui.
La peer review in un’epoca di scienza aperta: un dibattito transdisciplinare (27 settembre 2023- 14.00 online)
Nell’ambito della settimana internazionale dedicata alla peer review, la Commissione Open science dell’Università di Milano organizza un dibattito transdisciplinare sulla peer review nell’epoca della scienza aperta.
L’evento mira a favorire un dialogo transdisciplinare su funzioni, modelli e finalità della peer review, con particolare riferimento alle innovazioni digitali e alle sfide dell’open science. Discuterà del tema un gruppo di esperti di varie discipline, dalla filosofia alle medicina, dalla matematica alla sociologia, che hanno studiato in maniera approfondita la peer review e/o le sfide della scienza aperta ed avuto esperienze dirette dei problemi della sua gestione in qualità di editor e/o fondatori/trici di riviste scientifiche.
Come contemperare le esigenze di trasparenza dell’open science con i criteri di equità garantiti dalla valutazione confidenziale? E’ possibile convergere verso un unico modello di gestione della peer review o dobbiamo continuare a garantire diversità e rispetto delle tradizioni disciplinari? Possiamo immaginare modelli alternativi di valutazione della conoscenza? La peer review e le riviste scientifiche – come le conosciamo – esisteranno ancora tra 20 anni?
Parteciperanno all’incontro:
Introduzione e coordinamento
Flaminio Squazzoni Presidente Commissione Open Science, Università degli Studi di Milano
Interventi
Lucia Angiolini Università degli Studi di Milano
Alberto Baccini Università degli Studi di Siena
Giacomo Bellani Università degli Studi di Trento
Fabrizio Berra Università degli Studi di Milano
Hykel Hosni Università degli Studi di Milano
Francesco Maggi University of Texas
Maria Chiara Pievatolo Università di Pisa
Marco Seeber Universitetet i Agder
Enrico Valdinoci The University of Western Australia
Il futuro della scienza aperta: monopoli intellettuali, valutazione, infrastrutture, formazione (Bari, 19-20 ottobre 2023)
Sono aperte le iscrizioni all’ottavo convegno annuale dell’AISA, Il futuro della scienza aperta: monopoli intellettuali, valutazione, infrastrutture, formazione, che si svolgerà il 19-20 ottobre 2023 a Bari. Il programma della conferenza è visibile qui.
L’ingresso in presenza è libero, ma si consiglia l’iscrizione a quanti hanno intenzione di chiedere un attestato di partecipazione.
La parola dell’ANVUR: Open Research Europe e l’accordo europeo per la riforma della valutazione della ricerca
Come documentato da “Roars”, l’ANVUR ha escluso Open Research Europe (ORE) sia dalla lista delle cosiddette riviste di classe A, sia da quella delle riviste scientifiche per l’area della sociologia generale.
Open Research Europe è un’infrastruttura offerta dalla Commissione dell’Unione Europea all’élite di autori i cui lavori di ricerca sono esito di finanziamenti europei. Priva dei vincoli tecnologici della stampa, per i quali la pubblicazione di testi
selezionati ex ante ne segnalava anche il valore, ORE è a un tempo un archivio, un forum pubblico di discussione e un complesso di riviste di diverse discipline.
Gli autori possono usare ORE per autoarchiviare e rendere pubblici i propri testi, codici e dati perché siano rivisti in una discussione a sua volta pubblica, a cui partecipano, oltre a loro stessi, sia esperti invitati ad hoc, sia utenti registrati al sito. Se i revisori, dopo eventuali modifiche, marcano gli articoli come accettati, essi verranno indicizzati da vari servizi anche proprietari, come Scopus di Elsevier. I testi compaiono inoltre in Google Scholar.
Fra le molte forme di revisione paritaria aperta, ORE ha adottato quella che consiste nel render pubblica l’intera discussione pur continuando a far uso di esperti appositamente selezionati, così da riconoscerne le responsabilità e i meriti, da palesarne eventuali conflitti di interessi e da trasformare una procedura opaca, gerarchica ed esposta a fallimenti talvolta catastrofici in un dibattito scientifico franco. Come scriveva Giorgio Israel,
L’anonimità dell’esaminatore è invece un’idea sciocca e scandalosa. Chi deve firmare un giudizio e quindi mettere in gioco la propria rispettabilità sta bene attento a quel che scrive, mentre – e si potrebbe produrre un gran numero di esempi al riguardo – un recensore anonimo può permettersi il lusso di emettere giudizi affrettati, superficiali o anche di fare affermazioni palesemente sbagliate, con gli intenti più disparati, senza dover pagare alcun prezzo per questo. Il diffondersi delle procedure di selezione mediante il ricorso a valutatori anonimi, lungi dal garantire la serietà e l’obbiettività del giudizio – si sostiene che il valutatore anonimo sarebbe libero di esprimersi senza le reticenze dettate dai suoi eventuali rapporti di conoscenza o amicizia con il valutato o dal timore di rappresaglie – induce comportamenti poco etici se non addirittura scorretti. Che bisogno c’è dell’anonimato? Una persona che appartiene al mondo della ricerca e dell’università dovrebbe essere capace di conformarsi a criteri di “scienza e coscienza” e non avere il timore di difendere le scelte compiute su tali basi. L’anonimato rischia invece di offrire coperture a comportamenti intellettualmente superficiali o eticamente scorretti.
ORE è criticabile perché la sua gestione è stata affidata, invece che ad archivi o biblioteche, a F1000 Research, di proprietà di un oligopolista commerciale privato partecipe della cosiddetta editoria di sorveglianza, il quale ha ben poco a che vedere con la tutela della conoscenza indipendente e pubblica. Ma non di questo si preoccupa l’ANVUR: per chi volesse far uso degli articoli che vi ha depositato ai fini della propria carriera accademica in area sociologica, ORE, secondo l’agenzia, non è né scientifica né eccellente perché non pubblica in fascicoli “distinti, in sé conclusi e non aperti ad ulteriori aggiornamenti” e perché non pratica la revisione anonima.
Conviene resistere alla tentazione di sorridere di chi, a più di trent’anni dall’invenzione del World Wide Web, pretende che la pubblicazione on line non renda disponibili i testi appena sono pronti ma si sforzi di riprodurre i limiti tecnici ed economici della stampa uscendo in “fascicoli”, e imbriglia la discussione scientifica in procedure ispirate a idee non solo “sciocche e scandalose”, ma più recenti e discutibili di quanto molti immaginino, mentre altrove ci si va chiedendo se le riviste cosiddette scientifiche non meritino di essere superate.6 Qui che cosa si decide è secondario rispetto alla questione di chi decide e in virtù di quale legittimazione.
Il sistema di valutazione della ricerca italiano vigente, amministrativo e centralizzato, è dominato da un’Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca il cui consiglio direttivo è nominato dal governo. Fra i suoi numerosissimi compiti c’è quello di stabilire quali riviste, nelle aree delle scienze umane e sociali, sono scientifiche e quali no, e quali, fra queste ultime, sono eccellenti (di classe A) e quali no. A dispetto dell’articolo 33 della costituzione, Caesar est supra grammaticos: a decidere che cosa è scientifico e che cosa no non sono i ricercatori, bensì un’autorità nominata dal governo. Il medesimo principio burocratico e gerarchico opera nel regolamento per la classificazione delle riviste nelle cosiddette aree non bibliometriche stilato dal consiglio direttivo dell’ANVUR: il consiglio, oltre ad avere l’ultima parola, controlla la procedura fin dal suo inizio, nominando gli studiosi-funzionari del gruppo di lavoro che si occupa dell’istruttoria sulle riviste.
La valutazione di stato della ricerca, amministrativa e centralizzata invece che scientifica e distribuita, è strutturalmente dispotica e retrograda. Perfino se il direttivo dell’ANVUR e gli studiosi-funzionari degli organi che ne sono emanazione fossero illuminati e in perfetta armonia con le comunità dei ricercatori italiani, le loro liste, fissate da norme di diritto amministrativo in grado di mutare solo tramite ulteriori atti di autorità, ingesserebbero la discussione e la comunicazione della scienza.
La negazione della scientificità di ORE per la sociologia generale viola gli impegni che l’ANVUR ha formalmente sottoscritto aderendo alla coalizione europea per la riforma della valutazione della ricerca (COARA), del cui steering board fa parte un membro del suo consiglio direttivo. In particolare, la redazione di “Roars” ha osservato che prescrivere una revisione paritaria chiusa, la quale, essendo privata, non consente di riconoscere il contributo scientifico dei revisori, è incompatibile con il secondo impegno dell’accordo europeo.
In generale COARA include fra i suoi principi complessivi la salvaguardia della libertà della ricerca, che l’agenzia lede indipendentemente dalla sua decisione su ORE. Stabilire che cosa è scientifico e che cosa no tramite liste determinate amministrativamente confina infatti la libertà dei ricercatori di scegliere temi, metodi, teorie e applicazioni delle loro indagini entro le agende e le politiche editoriali delle riviste approvate dall’ANVUR.
Safeguard freedom of scientific research. By putting in place assessment frameworks that do not limit researchers in the questions they ask, in their research implementation, methods or theories. By limiting the assessment frameworks to only those necessary, as assessment must be useful for researchers, institutions and funders.7
Inoltre, quando COARA prescrive che i criteri e i processi di valutazione non siano incentrati bibliometricamente, sulla quantità, bensì sulla qualità, la definisce connettendola all’apertura: “openness corresponds to early knowledge and data sharing, as well as open collaboration including societal engagement where appropriate”.8 Di nuovo: come si può parlare di collaborazione aperta quando che cosa è scientifico e che cosa no è deliberato da un’autorità nominata dal governo in un gioco a somma zero volto a mettere ricercatori e istituzioni gli uni contro gli altri?
Per rendersi conto che il sistema delle liste di riviste è in contrasto con gli impegni europei sottoscritti dall’ANVUR non era indispensabile il casus belli di ORE. In tempi non sospetti si era già notato che la normativa nazionale sulla valutazione della ricerca era in conflitto con i principi di COARA e si era osservato che, coerentemente, l’ANVUR non avrebbe dovuto soltanto aggiornare le sue liste e il relativo regolamento, bensì abolirle in quanto espressione autoritaria di una valutazione di stato strutturalmente dispotica, retrograda e incompatibile con la scienza aperta. L’agenzia, nel frattempo, non ha fatto né l’una né l’altra cosa – come se non avesse chiaro il senso di ciò che ha firmato, o, avendolo invece chiarissimo, intendesse partecipare alla riforma europea con una pesante, gattopardesca reservatio mentalis.
Aggiornamento sull’ANVUR e la revisione paritaria aperta.
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