Il programma del convegno Scienza aperta e dati aperti nella ricerca biomedica / Open Science and Open Data in biomedical research è disponibile qui.
A Workshop on Adding Copyright Reform to the Open Access Agenda (Trento, 7 ottobre 2022)
La discussione prenderà le mosse dal libro di John Willinsky Copyright’s Broken Promise, di prossima uscita. Le informazioni per chi fosse interessato a partecipare sono visibili qui.
“Scienza aperta e società democratiche” (Roma, 20-21 ottobre 2022)
Abbiamo pubblicato il programma del nostro settimo convegno, dedicato a Scienza aperta e società democratiche
Proprietà intellettuale
L’espressione “proprietà intellettuale” è di quelle che dominano la scena della contemporaneità. Eppure il suo uso come categoria giuridica che identifica numerosi differenti diritti di esclusiva su attività umane è molto recente. Attualmente la categoria include diritti d’autore, brevetti per invenzione, marchi, disegni industriali, indicazioni geografiche, segreti commerciali. Secondo una ricostruzione di un autorevole studioso della materia, l’uso della macrocategoria inizia a diffondersi a seguito dell’istituzione nel 1967 dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà (World Intellectual Property Organization o WIPO). La WIPO è un’agenzia delle Nazioni Unite che conta 193 Paesi membri ed è dedita allo sviluppo di un sistema normativo internazionale “bilanciato” ed efficace di proprietà intellettuale.
L’uso della macrocategoria si è poi definitivamente imposto – o è stato imposto dall’Occidente – attraverso una delle normative più emblematiche del capitalismo globale: l’accordo nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sui diritti di proprietà intellettuale del 1994 (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights o TRIPS).
Attraverso gli accordi normativi internazionali gli Stati hanno parzialmente ceduto la propria sovranità nazionale. Le grandi linee di sviluppo nonché il c.d. bilanciamento tra proprietà intellettuale e altri diritti sono nelle mani di organi e corti internazionali.
L’Unione Europea ha competenza nella materia e ha inserito la proprietà intellettuale nell’art. 17.2 della Carta dei Diritti Fondamentali, accostandola al vero diritto di proprietà e privandola, almeno a livello della lettera del testo, della clausola sociale.
La categoria della proprietà intellettuale rimane però filosoficamente e giuridicamente controversa per diverse ragioni.
a) Accomuna diritti che poco hanno a che fare l’uno con l’altro. Tali diritti hanno ragioni giustificative e finalità differenti. Il diritto d’autore disciplina le opere dell’ingegno della letteratura, dell’arte e della scienza. Il brevetto per invenzione riguarda l’innovazione industriale. Il marchio serve a identificare prodotti e servizi. E così via. La riconducibilità di questi diritti alla proprietà è discussa sia nel pensiero giusnaturalista sia in quello utilitarista.
b) Stabilisce un accostamento forzato tra diritti di esclusiva su beni tangibili (la proprietà in senso stretto) con i diritti di esclusiva su beni intangibili che hanno natura profondamente diversa. I beni tangibili sono rivali al consumo. I beni intangibili no: possono essere fruiti contemporaneamente da un numero infinito di persone. Lo stesso riferimento al bene intangibile come frutto dell’attività del pensiero umano è controverso.
c) Nasconde retoricamente la natura monopolistica del diritto di esclusiva. Un conto è parlare di proprietà, altro è parlare di monopolio. Nei sistemi capitalistici ad economia liberale il monopolio viene, almeno in linea teorica, contrastato dal diritto. Mentre la proprietà è un pilastro del capitalismo liberale. Nelle costituzioni in cui il diritto di proprietà è un diritto fondamentale – e non è il caso della Costituzione italiana – l’accostamento esplicito o implicito della proprietà intellettuale alla proprietà, significa fondamentalizzare il diritto, cioè renderlo inattaccabile da norme di legge ordinaria che contrastano con il contenuto costituzionale.
Negli ultimi decenni la normativa degli accordi internazionali ha esteso progressivamente il contenuto della c.d. proprietà intellettuale. Beni della conoscenza che in passato erano comuni oggi sono sottratti alla destinazione universale e gravati da esclusive. Ma c’è di più e di peggio. La proprietà intellettuale riguarda sempre di più il controllo delle infrastrutture tecnologiche e della loro logica (gli algoritmi) costituendo una barriera di accesso a monte del sistema di comunicazione e di progresso della conoscenza.
La proprietà intellettuale alimenta il capitalismo dei monopoli intellettuali che genera gravi disuguaglianze e mette a rischio la democrazia. Disuguaglianze tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Disuguaglianze, anche nei Paesi ricchi, tra persone che possono pagare il prezzo per l’accesso alla conoscenza e persone che non hanno questa possibilità. Si pensi, ad esempio, all’accesso ai testi e alle altre risorse formative della scuola e dell’università.
Peraltro, il fenomeno della concentrazione nelle mani di pochi soggetti del controllo esclusivo di informazioni, dati e capacità computazionale si basa oggi non solo sul diritto (la c.d. proprietà intellettuale) ma anche (e soprattutto) sul potere di fatto delle grandi piattaforme commerciali di Internet.
Nel campo della scienza la tendenza a privatizzare la conoscenza, cioè ad estendere le esclusive (giuridiche e di fatto) fino al controllo della ricerca di base, dei mattoni fondamentali del sapere, dei beni essenziali per la vita (ad es., farmaci e vaccini) e delle infrastrutture della comunicazione (prima fra tutte: Internet) mette a rischio la distinzione tra ricerca animata dal progresso della conoscenza (in particolare, la ricerca del settore pubblico per l’interesse di tutti) e ricerca orientata al profitto (di pochi). Alimenta i conflitti di interesse. Omologa le istituzioni accademiche e scientifiche alle aziende.
Fin dai primi anni 2000 c’è chi mette in guardia sul fatto che la scienza aperta è inconciliabile con la continua espansione della proprietà intellettuale. Quel monito è oggi più vero che mai.
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Rivista predatoria
Una rivista predatoria è una rivista che sfrutta l’enfasi posta sull’accesso aperto per proporre ai ricercatori, attraverso uno spamming continuo, una pubblicazione degli articoli veloce e a costi relativamente bassi.
Spesso queste riviste riportano nella homepage improbabili indici bibliometrici e la indicizzazione in banche dati che non hanno particolari filtri per l’inclusione, ma si limitano a descrivere una pubblicazione.
La seguente definizione di rivista predatoria è quella ormai comunemente accettata:
Predatory journals and publishers are entities that prioritize self-interest at the expense of scholarship and are characterized by false or misleading information, deviation from best editorial and publication practices, a lack of transparency, and/or the use of aggressive and indiscriminate solicitation practices[1].
La caratteristica principale di una rivista predatoria è che si dichiarano processi di qualità (revisione paritaria o peer review) che non vengono messi in atto o vengono malamente messi in atto. Ad esempio, è possibile che fra la proposta di un manoscritto e la sua accettazione, dopo una finta revisione paritaria, passino pochi giorni.
Il ricercatore che viene contattato da una rivista predatoria e aderisce alla richiesta crede di essere in linea con quanto richiesto dagli enti finanziatori della ricerca, ma di fatto spreca l’occasione di validare seriamente il proprio lavoro in cambio di una riga in più sul proprio CV, rendendosi complice (più che vittima) di un sistema in cui la pressione a pubblicare è fortissima.
Alcuni accorgimenti possono aiutare a verificare l’attendibilità e la serietà di una sede di pubblicazione:
- si può controllare chi sono i membri del comitato editoriale e da quale istituzione provengono e se l’affiliazione istituzionale è autentica;
- si posso assumere informazioni su coloro che hanno già pubblicato sulla rivista e sulla notorietà dei loro nomi;
- si può verificare se esistono linee guida per gli autori, se sono presenti un codice etico e la descrizione del processo di revisione.
Esiste un sito (Think, Check, Submit) sviluppato ad hoc per aiutare i ricercatori nella analisi di una sede di pubblicazione (rivista o volume soprattutto per i ricercatori delle scienze umane e sociali). Vengono proposte alcune domande e a seconda delle risposte il ricercatore dovrebbe essere in grado di verificare la attendibilità di una rivista.
È opportuno eseguire questa indagine prima di sottoporre al processo di pubblicazione un lavoro scientifico, perché molto spesso, una volta che un testo è stato proposto per la pubblicazione, non si ha più la possibilità di ritirarlo e può capitare che l’editore lo pubblichi anche senza l’assenso degli autori.
Alcuni anni fa un bibliotecario dell’università di Colorado Denver, Jeffrey Beall, manuteneva in autonomia (con tutti i limiti rappresentati da una iniziativa a titolo personale) una lista di probabili editori e di probabili riviste predatorie. Oggi questa lista non esiste più e se è stata clonata non è più aggiornata. Più che appoggiarsi a liste nere come quella di Cabell (banca dati a pagamento che ha ripreso la filosofia della iniziativa di Beall), è importante ricorrere a white list come la Directory of open access journals. La directory è riconosciuta come lista di autorità anche dalla Commissione europea, e censisce esclusivamente le riviste open access gold (cioè quelle nella cui categoria cadono le riviste predatorie). La DOAJ è una iniziativa gratuita per gli utilizzatori e si basa sul lavoro volontario di decine di editors e associate editors che in tutto il mondo lavorano alla analisi delle riviste per la eventuale inclusione secondo una serie condivisa di criteri e dimensioni di qualità e formali
Una rivista che non è presente nella Directory of open access journals o è molto recente e quindi non ha alle spalle almeno un anno di pubblicazione, oppure deve essere considerata con molta attenzione: in entrambi i casi è opportuno ricorrere alla checklist presente in ThinK Check Submit.
[1] Bjorn Brembs ha dimostrato come alcuni editori facenti parte dell’oligopolio dell’editoria scientifica rispondano perfettamente alle caratteristiche elencate in questa definizione https://bjoern.brembs.net/2019/12/elsevier-now-officially-a-predatory-publisher/
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Premio per tesi sulla scienza aperta: bando 2022
Anche quest’anno, in occasione del suo VII convegno, l’Associazione italiana per la promozione della scienza aperta premierà le migliori tesi di dottorato e di specializzazione o di laurea magistrale dedicate alla scienza aperta e presentate negli anni 2020, 2021 e 2022.
Le indicazioni sulle modalità di partecipazione al concorso, il cui bando scade il 10 settembre 2022, sono consultabili a partire da questa pagina.
L’istituto Mario Negri ha aderito all’AISA
L’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, la cui preferenza per la scienza aperta anche in materia di brevetti è degna di nota e apprezzamento – si è aggiunto al gruppo dei soci istituzionali dell’AISA.
Aperto, apertura
‘Aperto’ è l’opposto di ‘chiuso’. Andando da ‘socchiuso’ a ‘spalancato’, l’apertura ha diversi gradi e riguarda cose molto diverse, dagli armadi agli archivi, dalla consultazione all’accesso, dalle politiche alla scienza.
Per Galileo la natura è un libro aperto davanti ai nostri occhi, che tutti possono studiare se si dotano dei giusti strumenti intellettuali. Al tempo di Galileo si compiono sforzi ingenti per far circolare i risultati scientifici. Ma si usano anche enigmi e anagrammi per dare prova pubblica, a futura memoria, di essere gli unici detentori di una scoperta che non si vuole o non si può ancora pubblicare. Anche le applicazioni pratiche della scienza possono essere ragione di controversie: Galileo fabbrica e vende un sofisticato strumento di misura e per mantenere l’esclusiva intenta un processo a un imitatore.
Nel frattempo la ricerca scientifica ha cambiato la sua natura:
- è divenuta molto complessa sia tecnicamente sia socialmente;
- il sistema delle pubblicazioni scientifiche è diventato un settore economico internazionale a sé stante.
La natura rimane aperta, ma gli strumenti delle scienze naturali e la comunicazione dei risultati diventano un sistema chiuso.
A quella chiusura si reagisce prendendo come programma e come slogan l’apertura. Questa apertura si associa soprattutto all’accesso alle opere culturali e ai materiali scientifici (pubblicazioni, metodi, dati), poi alla scienza stessa nel suo complesso. Modifica i modelli di pubblicazione e le pratiche di diffusione della scienza e ne qualifica la funzione sociale e democratica.
‘Aperto’, in questo uso, significa innanzitutto ‘libero’, non solo da costi (‘gratuito’) ma anche da ostacoli dovuti a varie ragioni di segretezza (politiche, economiche, competitive), a obblighi di valutazione amministrativa, o a difficoltà materiali. Le licenze d’uso aperte favoriscono la libera circolazione della conoscenza. I principi dell’accesso aperto (open access) consistono nella libera consultazione e riproduzione (nel rispetto del diritto morale/ di autrici e autori) delle pubblicazioni e dei risultati scientifici.
Con ‘aperto’, oltre che ‘libero’, si intende anche ‘accessibile’ e ‘trasparente’ (come nel caso della open peer review). Apertura, libera circolazione, accessibilità e trasparenza caratterizzano la scienza aperta.
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Bilancio consuntivo 2021
Come d’uso, il bilancio consuntivo AISA dell’anno 2021 è pubblico qui.
Diritto di ripubblicazione
L’autore di un testo scientifico generalmente non guadagna dalla riproduzione e commercializzazione delle copie delle sue pagine. In particolare, l’autore di un articolo destinato a una rivista scientifica non ha interesse a ricevere un compenso economico, ma a veder diffuso, letto e criticato il suo contributo scientifico.
Nell’attuale sistema di valutazione della scienza scienza si ricorre al conteggio più o meno sofisticato delle citazioni ricevute dal contributo scientifico o dalla rivista dove è pubblicato al fine di redigere classifiche che influenzano lo sviluppo (o il declino) di università e dipartimenti nonché determinano la carriera degli scienziati. Questo perverso sistema induce una serie di distorsioni dell’autorialità scientifica. Tra queste distorsioni figura anche la pressione ad accettare contratti-capestro in cui l’editore impone al ricercatore la cessione gratuita dei diritti economici d’autore a fronte della pubblicazione. Una volta ceduti i diritti economici, è l’editore e non l’autore a decidere quale circolazione possa avere il testo.
L’editore inserisce il contributo in grandi banche dati digitali che vengono commercializzate a carissimo (e crescente) prezzo mediante licenze d’uso che attribuiscono non la proprietà sui contenuti ma semplicemente diritti d’uso. Nell’ambito della ricerca finanziata con fondi pubblici, i contribuenti pagano più volte la ricerca: finanziando lo stipendio, per il lavoro stabile o precario, dell’autore scientifico, del curatore della pubblicazione e del revisore dell’articolo, nonché acquisendo diritti d’uso su contenuti che rimangono nel controllo dell’editore. Inoltre, gli autori dei testi scientifici, che sono i principali fruitori delle banche dati scientifiche proprietarie, cedono gratuitamente i propri dati personali a un apparato commerciale che applica i dettami del capitalismo della sorveglianza all’editoria scientifica. Gli editori sono oggi imprese di analisi dei dati che sorvegliano il comportamento della comunità accademico-scientifica allo scopo di orientarne metodi di lavoro e finalità.
L’art. 42 della legge n. 633 del 1941 (legge sul diritto d’autore e sui diritti connessi), con riferimento a uno scenario tecnologico, economico e sociale completamente differente da quello contemporaneo, riconosce un limitato di diritto di ripubblicazione all’autore di articoli o di altre opere pubblicate in opere collettive. Ma fuori dai confini dell’Italia alcuni Paesi – Germania, Paesi Bassi, Francia, Belgio, Austria – hanno inserito nella propria legislazione un nuovo e più robusto diritto di ripubblicazione (messa a disposizione del pubblico) in Open Access. In alcune leggi, il diritto assume i tratti dell’irrinunciabilità e dell’inalienabilità. Qualsiasi tentativo da parte dell’editore di aggirare le prerogative dell’autore viene neutralizzato dalla legge.
Il diritto irrinunciabile e inalienabile di ripubblicazione in accesso aperto costituisce espressione di autonomia e libertà di pensiero in ambito scientifico. Decidere se, quando e dove pubblicare e ripubblicare il proprio testo scientifico è espressione di libertà accademica. Il diritto di ripubblicazione in Open Access rappresenta una delle premesse giuridiche per restituire il controllo dei testi alla comunità scientifica.
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