Accordi trasformativi

I contratti trasformativi sono contratti fra consorzi ed editori per l’acquisto e la pubblicazione di letteratura scientifica secondo il modello read and publish.

Questi contratti, che in questa fase riguardano per lo più le riviste ibride, dovrebbero accompagnare gli editori verso la trasformazione in editori interamente open access, suddividendo i costi della trasformazione fra editori e istituzioni pubbliche.  Se non ci fosse un impegno serio da parte degli editori a trasformarsi, la pubblicazione a pagamento nelle riviste ibride si configurerebbe come double dipping. Questa fase di accompagnamento è a tempo e dovrebbe concludersi entro il 2024, (anno in cui parecchi enti finanziatori della ricerca, in particolare quelli aderenti a Coalition S, non accetteranno più di finanziare pubblicazioni in riviste ibride). Ciò significa che entro il 2024 il modello di business dovrà essersi trasformato.

Le caratteristiche dei contratti trasformativi dovrebbero essere le seguenti.

  • Trasparenza delle regole e dei costi e preferibilmente pubblicazione degli accordi stessi visto che riguardano l’impegno di fondi pubblici
  • Transitorietà – questi accordi dovrebbero essere transitori (e di breve durata) perché gli editori dovrebbero dichiarare la loro intenzione a trasformarsi in full open access al termine del contratto e poi trasformarsi davvero. Ciò implica anche una rendicontazione annuale di quanto l’editore ha pubblicato in open access e dei costi sostenuti e dei profitti, con una proiezione rispetto al tempo necessario per la trasformazione. La transizione dovrebbe concludersi entro il 2024.
  • Costi invariati; si considera che ci sia già sufficiente denaro impiegato per le pubblicazioni scientifiche. I contratti non dovrebbero prevedere stanziamenti ulteriori (rispetto ai contratti pay per read)
  • Inclusione: gli accordi dovrebbero comprendere tutto ciò che una istituzione pubblica attraverso i propri autori come “corresponding authors” sia nelle riviste cosiddette ibride che in quelle full open access.

Il sito ESAC riporta la situazione dei diversi sistemi nazionali rispetto ai contratti trasformativi (quali contratti, con quali editori, e in alcuni casi le condizioni).

In Italia i contratti trasformativi vengono siglati attraverso il consorzio CARE.

Sono 8240 gli “articoli trasformativi” pubblicati dalle istituzioni italiane nel 2021 (fonte ESAC). Rappresentano il 5% dell’intera produzione scientifica nazionale (fonte Scopus). E il resto?

Per questo risulta importante pensare a forme diverse di apertura della ricerca scientifica, e soprattutto ad una gestione dei diritti d’autore che lasci all’autore la libertà di scegliere dove ripubblicare i propri contenuti scientifici.

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Double dipping

No double dipping Nel linguaggio finanziario anglosassone il double dipping è una pratica eticamente scorretta, quando non anche illecita, che consiste nell’accettare denaro, per un medesimo servizio, da due fonti reciprocamente esclusive. Praticherebbe per esempio il double dipping un professore che, invitato a una conferenza, si facesse rimborsare le spese di viaggio sia dalla sua amministrazione, sia dall’università organizzatrice.

I sostenitori della scienza aperta associano il double dipping alle cosiddette riviste ibride, che normalmente rendono disponibili i loro articoli solo dietro pagamento di un abbonamento, ma possono anche offrire singoli testi ad accesso aperto se ricevono un compenso ad hoc, detto APC (article processing charge). Quando questo compenso è versato da università ed enti di ricerca le cui biblioteche hanno acquistato l’abbonamento, l’editore, per l’accesso a un medesimo testo, viene pagato due volte: una volta, per l’accesso chiuso, sotto forma di abbonamento, e una seconda volta, per l’accesso aperto, sotto forma di APC.

I cosiddetti accordi trasformativi erano stati pensati per accompagnare le riviste ad accesso chiuso a un accesso aperto pieno, includendo nell’abbonamento (Read and Publish agreement) non solo la possibilità di leggere, ma anche quella di render disponibili ad accesso aperto i testi degli autori dell’istituzione abbonata. Questo regime, implicitamente discriminatorio nei confronti di autori e istituzioni povere, non ha ancora eliminato le riviste ibride.

In Italia, alcuni accordi trasformativi, quali quelli con Wiley e Springer, offrono agli autori un numero annuale di voucher per pubblicare ad accesso aperto con la garanzia che il costo non graverà sui loro fondi di ricerca ma sull’ente contraente. Se i voucher – come è effettivamente accaduto – si esauriscono prima della fine dell’anno, gli autori però dovranno di nuovo attingere ai loro fondi e tornare dunque al double dipping, ammesso e non concesso che non sia già implicito in accordi così formulati.

OpenAPC, sulla base dei dati ricevuti dalle biblioteche universitarie e di ricerca, permetterebbe di sapere quanto si spende, distributivamente e collettivamente, per APC a favore di riviste ibride. Purtroppo però, in un paese nel quale un professore che si facesse rimborsare le missioni due volte commetterebbe un illecito, solo due università e un ente di ricerca italiani rendono, a oggi, disponibili i loro dati.

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Rivista ibrida

Fino a qualche decennio fa le riviste avevano un modello di business per cui l’autore sottometteva la propria ricerca ad una rivista e se il lavoro, dopo il processo di peer review, veniva accettato, l’articolo veniva pubblicato in un fascicolo della rivista.

Chi voleva accedere doveva acquistare prima l’abbonamento cartaceo, poi l’abbonamento cartaceo e quello online, e da ultimo solo l’abbonamento online. Da un certo momento in poi non è più stato possibile scegliere quali riviste sottoscrivere, perché gli editori hanno cominciato a vendere gli abbonamenti a pacchetti originando un fenomeno che prende il nome di Big Deal.

Dal punto di vista dell’editore questa trasformazione si è tradotta in un risparmio di costi (costi di gestione, costi della carta, della stampa e della distribuzione) e in un aumento di guadagni.

Dal punto di vista delle istituzioni questo passaggio si è tradotto in un aumento di costi e in molti casi nel fatto di pagare per l’accesso (un accesso che finisce nel momento in cui si dismette l’abbonamento) e non per il possesso dei contenuti scientifici.

Poiché il mercato dell’editoria scientifica è un mercato oligopolistico con forti barriere all’ingresso, e poiché il brand offerto da questo oligopolio è fondamentale per la carriera universitaria e per ottenere finanziamenti, gli editori hanno potuto tranquillamente definire i prezzi senza che le istituzioni abbiano potuto avere voce in capitolo

Ricerche fatte in passato dimostrano come i costi delle sottoscrizioni degli abbonamenti a banche dati ad accesso chiuso siano aumentati in maniera vertiginosa, rendendo difficile e in alcuni casi impossibile per le istituzioni soddisfare i bisogni informativi dei propri ricercatori e studenti.
Data from the Association of Research Libraries, graphed by Stuart Shieber

A partire dagli anni 2000 aumenta la consapevolezza dei bibliotecari rispetto a questo costante e crescente aumento dei costi e prende avvio il movimento dell’accesso aperto.

I grandi editori ci mettono davvero poco a capire come sfruttare a proprio favore un movimento che nasce da una necessità delle comunità scientifiche profondamente etica: la ricerca finanziata con fondi pubblici deve essere accessibile a chiunque disponga di un accesso a internet senza barriere economiche, legali o tecnologiche.

Se le comunità scientifiche e gli enti finanziatori chiedono l’accesso aperto, avranno l’accesso aperto.

Tutti i grandi editori prevedono quindi che nei propri journals ad accesso chiuso normalmente accessibili tramite sottoscrizioni degli abbonamenti, gli autori o le loro istituzioni possano pagare una APC (article processing charge)  perché un singolo contenuto sia immediatamente accessibile a chiunque.

Dal punto di vista dell’editore questa operazione moltiplica (ancora) i guadagni (abbonamenti+APC), dal punto di vista delle istituzioni questa operazione moltiplica (ancora) i costi configurandosi anche come un danno erariale (pago già un abbonamento per l’accesso chiuso e se un autore o un ente finanziatore chiede l’accesso aperto pago una ulteriore somma per l’accesso aperto nella stessa sede editoriale per cui tutte le istituzioni pubbliche pagano già una sottoscrizione).

Le riviste ibride sono dunque quelle riviste dei grandi editori oligopolisti che traggono (ulteriore) profitto sfruttando i principi dell’accesso aperto e le richieste di trasparenza degli enti finanziatori della ricerca.

Per gli autori è sempre possibile fare una scelta diversa dal pubblicare in una rivista ibrida pagando un APC.

L’open access green prevede infatti che una versione dell’articolo (il cosiddetto author accepted manuscript) possa essere caricato in un archivio istituzionale o disciplinare e reso aperto immediatamente o dopo un periodo di embargo definito dall’editore.

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Accordi trasformativi: perché collaborare alla loro promozione?

Seguendo a proprio modo una tendenza in atto nella maggior parte dei paesi europei, l’Italia ha concluso, attraverso il consorzio Coordinamento per l’Accesso alle Risorse Elettroniche (CARE) che fa capo alla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), una serie di contratti cosiddetti trasformativi, i quali mirano a far transitare l’editoria scientifica commerciale ad accesso chiuso (pago per leggere) all’ accesso aperto (pago per pubblicare).

I contratti trasformativi sono contratti di solito condotti a livello nazionale tra grandi editori commerciali (meglio definibili come imprese di analisi dei dati) e consorzi come CRUI-CARE, che avrebbero – a dire degli editori – lo scopo di trasformare il modello di business delle riviste da pay per read (ad accesso chiuso) a pay per publish (ad accesso aperto) attraverso un regime transitorio chiamato read and publish. L’intento è quello che editori e istituzioni lavorino insieme per arrivare, in un tempo nominalmente breve, ad un sistema di pubblicazioni scientifiche totalmente aperto con costi sostenibili per le istituzioni e profitti adeguati – cioè concorrenziali e non monopolistici – per gli editori.

I contratti trasformativi dovrebbero avere una serie di caratteristiche irrinunciabili:

  • trasparenza delle regole e dei costi, preferibilmente con la pubblicazione degli accordi stessi visto che riguardano l’impegno di fondi pubblici;
  • transitorietà: questi accordi devono essere transitori (e di breve durata). Gli editori dovrebbero manifestare l’impegno (morale) a trasformarsi in full open access anche attraverso una rendicontazione annuale di quanto l’editore ha pubblicato in open access, dei costi sostenuti e dei profitti, con una proiezione rispetto al tempo necessario per la trasformazione (come richiesto da Coalition S);
  • costi invariati: i contratti non dovrebbero prevedere una immissione ulteriore di denaro nel sistema (rispetto ai contratti pay per read) e, in generale, gli APC dovrebbero essere monitorati;
  • inclusione: gli accordi, ora quasi esclusivamente riguardanti solo parte delle riviste ibride dell’editore, dovrebbero comprendere almeno tutto ciò che una istituzione pubblica coi propri autori come “corresponding authors” nelle riviste ibride e auspicabilmente anche in quelle totalmente open access.

L’Italia ha concluso una serie di contratti che sono stati quasi tutti registrati in un apposito sito web: ESAC.

Gli autori delle istituzioni contraenti hanno a disposizione un numero annuale di voucher che permettono loro di pubblicare ad accesso aperto con la garanzia che il loro costo verrà sostenuto dalle istituzioni stesse, anziché gravare sui loro fondi di ricerca personali. I dati del 2021 ci indicano quanti sono i voucher che sono stati utilizzati dall’Italia: per almeno due editori (Wiley e Springer) i voucher si sono esauriti prima della fine dell’anno.

Per le istituzioni che lo desideravano rimane però possibile acquisire altri voucher, sborsando una cifra ulteriore rispetto all’ammontare previsto dal contratto.

Il contratto Springer vale 50 milioni per i 5 anni, mentre quello di Wiley vale 42 milioni per i 4 anni (fonte CRUI amministrazione trasparente)

In questi ultimi mesi molti sistemi bibliotecari italiani hanno pubblicizzato dei seminari finalizzati a spiegare il sistema dei voucher tenuti dagli editori Wiley (23 febbraio) e Springer (12 aprile).

Poiché questi sono proprio i due editori i cui voucher sono andati esauriti prima della fine dell’anno vengono spontanee alcune domande:

  • Perché una università pubblica deve promuovere i servizi di una controparte (privata), e per di più quando, nell’anno in corso, comporterebbero un esborso ulteriore rispetto a quanto previsto dal contratto?
  • Che effetto potrà avere l’enfasi posta (fra le tante vie dell’open access) proprio sui contratti trasformativi non solo sull’evoluzione dell’accesso aperto in Italia, ma anche sui costi per pubblicare? Per quanto saranno sostenibili?

E alcune possibili considerazioni.

Certamente gli editori stanno tentando di rendere il contratto trasformativo “the new normal” in modo che i ricercatori si abituino alla schermata “puoi pubblicare in open access perché il tuo ateneo ha un contratto” e non ne vogliano più fare a meno, inducendo i loro enti a sborsare altro denaro una volta esauriti i voucher annuali. D’altra parte, ll’open access green (a costo zero) o diamond non trovano eguale sostegno da parte del consorzio CARE.

Queste pratiche predatorie dimostrano che gli editori “trasformativi” non hanno alcuna intenzione di trasformarsi, ma anzi continueranno a guadagnare profitti monopolistici da questa nuova tipologia contrattuale come hanno fatto fino ad ora con i contratti per gli abbonamenti ad accesso chiuso.

Se di trasformazione si vuole parlare, allora occorre prendere atto che questa è già avvenuta: non si tratta più di editori ma di imprese di analisi dei dati che praticano il capitalismo della sorveglianza, cioè lucrano sui dati personali dei ricercatori.

Ci sfugge invece completamente quale possa essere l’interesse delle istituzioni a sostenere il sistema ibrido ad oltranza, al punto che alcuni sistemi bibliotecari (quali quelli dell’università di Bergamo, di Pavia, di Pisa) non menzionano le alternative non commerciali offerte anche dalle stesse università italiane (incluse, per esempio, alla fine di questo documento).

La Budapest Open Access Initiative ha recentemente raccomandato di abbandonare gli accordi trasformativi per preferire modelli editoriali che vadano a vantaggio di tutte le aree del mondo, sotto il controllo di organizzazioni accademiche e non a scopo di lucro, così da evitare che le letteratura ad accesso aperto si concentri nelle riviste commerciali dominanti continuando a privilegiare i ricchi e a mettere a tacere i poveri. L’accesso aperto non è un espediente per indurre chi pagava per leggere ad abituarsi a pagare – in denaro e dati personali – anche per scrivere. È un mezzo per rendere pubblica la conversazione scientifica e come tale deve essere accessibile a chiunque, indipendentemente dalla sua capacità o propensione a finanziare rendite di monopolio.
L’open access ad ogni costo non può essere una opzione.

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Open Science o proprietà intellettuale? Il caso dei brevetti universitari sui vaccini (17 marzo 2022)

In collaborazione con AISA e con la Commissione OA di Ateneo, il Gruppo Open Access dell’Università del Piemonte Orientale organizza un webinar dedicato a Open Science o proprietà intellettuale? Il caso dei brevetti universitari sui vaccini. Il programma e le indicazioni per partecipare sono disponibili qui.

“La borsa e la vita. Scienza aperta e pandemia” – URL della conferenza del 14-15 ottobre

I lavori del VI convegno annuale dell’AISA saranno visibili in streaming su GarrTV ai seguenti URL:

Chi desidera partecipare alla discussione è invitato a iscriversi alla nostra mailing list, che verrà usata per raccogliere le domande del pubblico.